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Il Credo di A me le Guardie

Chi segue blog e pagina Facebook sa che molto spesso mi diverto a giocare con citazioni e rimandi alla cultura pop. Quello che non tutti capiscono è quanto seriamente, a volte, prendo questi riferimenti. Ed è proprio da un riferimento ad un prodotto estremamente popolare al momento – la Saga del Mandaloriano di Star Wars, giunta alla terza stagione su disney plus – che vuole partire questo manifesto – più che articolo – di quelli che ritengo i valori fondanti del mio modo di approcciare il lavoro di poliziotto locale, e che, di riflesso, spero siano condivisi da una parte dei colleghi. A me le Guardie, come progetto, è nato per dare voce a quel modo di pensare ed agire che oggi prende forma in quello che, citando appunto The Mandalorian, chiamerò il “Credo”, mio, certo, ma nostro, di tutti coloro che nei contenuti, nelle idee, nelle speranze di questo blog e della pagina collegata si ritrovano. La dicitura Guardie Cittadine è nata, oltre che ad un ovvio richiamare il titolo della pagina, a sua volta dalla citazione di un’opera estremamente afferente la cultura pop, ovvero A me le Guardie di Terry Pratchett, capostipite di una saga fantasy che parla proprio delle Guardie di una città dove medioevo, moderno, magia, tecnologia e ironia si fondono in maniera perfetta. Per me, Guardie Cittadine, significa rispondere a tutti coloro secondo i quali la Polizia Locale dovrebbe restare indietro, essere, come ho recentemente letto in un commento sui social “una sottocategoria delle forze dell’ordine”, tornare a chiamarsi “vigili urbani”, significa, in sostanza, rigettare il tanto odiato Poliziotti Locali, Rifiutare ciò che sono stati fatti diventare i Vigili ed ammettere i fallimenti di comunicazione effettuati come Polizia Locale, rinascere Guardie, con questo nome antico, come contraddizione per evidenziare che siamo invece poliziotti moderni, chiamarci Guardie, per non rischiare di sentirci dire da qualcuno di non meritare nemmeno di essere definiti “sbirri”.

Con questo pezzo, credo di completare questo processo di “rinascita” del significato del nostro lavoro, di dare, finalmente, una risposta a chi, ogni tanto mi chiede “Perché, Guardie Cittadine? Cosa c’è di diverso da qualsiasi altra pagina sulla Polizia Locale?”. Beh, da oggi, in pieno delirio nerd, c’è un Credo cui mi sarà estremamente facile attenermi, perché è semplicemente mettere per iscritto quello che da sempre penso sia il posto della nostra figura nella società.

Ritengo sia la base fondamentale, ci si riempie la bocca di doveri, i nostri capi, soprattutto, sono sempre pronti a rimbrottarci i “doveri”, pensando che questi si possano riassumere in un ridicolo mansionario fatto spesso e volentieri di compiti basilari, atti a definirci come mediocri macchiette destinate a sparare multe applicando rigidamente questa o quella norma. Invece no, noi abbiamo qualcosa in più, abbiamo il senso del dovere, ed è questo senso a dirci cosa fare, non “cittadini indignati” che sbraitano alla centrale piuttosto che per strada, siamo noi, a sentire cosa è necessario fare per risolvere i tanti problemi e le mille situazioni che ci troviamo ad affrontare ogni giorno. Il senso di avere un Dovere più alto di quello che cercano di inculcarci fin dai bandi di concorso con una minuziosa serie di materie.

Ricollegarsi al Senso del Dovere è sapere che non esistono limiti, che non è facile essere Guardie Cittadine, che fin dalla più piccola inezia alla più grande tragedia la gente guarderà a noi come quelli che possono risolverla – magari poi su facebook ci odiano eh, ma al momento, se passiamo, ci chiamano – e la nostra responsabilità più grande è la consapevolezza che non possiamo fare finta di non sentire, e qualsiasi cosa stia succedendo, qualcosa, anche minimo, dovremo fare: passare oltre dicendo “non mi riguarda” non è un’opzione.

Le sanzioni, quelle che secondo qualcuno sono il nostro primo pensiero, “la penna è la nostra arma” dicono spesso quelli che fanno le Guardie, ma sono invece poco più che sgherri. Le situazioni, spesso, si possono risolvere senza quella maledetta penna e quell’ancora più maledetto blocchetto, basta avere la voglia di cercare il modo meno immediato, ma più moralmente corretto. La repressione, certo, è parte fondamentale della legge che rappresentiamo, ma la sua essenza è quella di far vedere alla gente che grazie a lei, alla legge, la società può mantenersi vivibile, ed è per questa immensa responsabilità che limitarci a ridurre la legge ad una mera cifra economica dietro un comma è il più grande atto di disprezzo che si possa fare quella Giustizia di cui la legge è umana rappresentazione.

La parte contrattuale è il problema più grosso della nostra categoria: non siamo considerati forza di polizia statale, abbiamo un contratto da impiegato cui vengono cucite le qualifiche di polizia, siamo delle banderuole nelle mani di sindaci e il perfetto capro espiatorio di ogni frustrazione, facile dire “e allora tanto vale fermarci, fare un passo indietro, limitarci al nostro” o addirittura “ma chi ce lo fa fare”. Balle. Tutti noi, facendo il concorso, sapevamo qual’era l’inquadramento e quali erano le qualifiche che avremmo rivestito, e, sarò sincero, questa situazione fa davvero comodo a tutti quelli che un’attività operativa complessa la rinnegano, perché dà loro la scusa dietro cui trincerare l’ignavia: non credo assolutamente che, all’arrivo di queste fantomatiche “tutele” questi soggetti diventeranno improvvisamente Guardie diverse. Credo più facile che cercheranno una nuova scusa.

Eh già, la Legge è qualcosa di più che scattare agli ordini del consigliere, assessore, sindaco, funzionario, cittadino di turno. Sia chiaro, vanno tutti ascoltati, ma è la nostra professionalità a risolvere le situazioni che ci troviamo di fronte, non la decisione di chi ci ha chiamati. Noi siamo quelli cui si sono rivolti per avere una risposta, ma questa risposta può non essere quella che vogliono, o essere diversa da quello che si aspettano. E’ una semplice questione di dignità ed un immensa responsabilità perché, certo, se decidiamo di risolvere una situazione in un modo diverso da quello che magari tutti si aspettano, dobbiamo essere capaci di argomentare la nostra scelta, di darle una razionalità se non giuridica quantomeno morale, in grado di dare soddisfazione, fin dove possibile, a tutte le parti in causa.

La somma di tutto è la Missione, è accettare che siamo qualcosa di più di lavoratori, siamo servitori ed allo stesso tempo non siamo servi, siamo riferimento, ma non maestri, siamo un organismo di repressione, certo, ma soprattutto di aiuto, siamo alla ricerca del sogno impossibile di Man of la Mancha, il Don Chisciotte versione musicalSognare un sogno impossibile…non importa quanto disperato…quanto lontano…essere pronti ad attraversare l’inferno per una causa celeste…tentare di raggiungere una stella irraggiungibile“, il sogno impossibile di essere le Guardie di tutti, una missione che non può trincerarsi dietro una risposta ipocrita ed indegna.

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Un pensiero riguardo “Il Credo di A me le Guardie

  1. Da ex, vecchio comandante, che ha creduto e continua a credere malgrado tutto nel ruolo e in questa particolare , ma tutt’altro che banale professione, condivido ogni parola di quanto scritto.
    Al riguardo ricordo che, quando arrivai presso un importante Comando della periferia fiorentina, decidemmo di ricordare il 150° anniversario della fondazione del Corpo anche con una pubblicazione storica, ricercando per questo negli archivi storici i primi atti costitutivi e operativi dello stesso. Ebbene, il brogliaccio dell’attività svolta il giorno di avvio del servizio, mi pare datato 17 aprile 1852 e a firma del Brigadiere capo guardia, riportava al termine del servizio questa dicitura finale “… verun fatto è stato riscontrato nei perlustrati popoli, degno della superiore attenzione” . Personalmente credo e ho sempre sostenuto che questa fosse la missione corretta del servizio, allora e, per tanti versi, lo sia tuttora.

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