riflessioni

Un anno che inizia dalle ceneri

Come posso giustificare la mia ultima sparizione? Mesi e mesi senza scrivere, saltando perfino gli auguri natalizi, il buon anno, i commenti sul nuovo governo: intendiamoci, tutte cose di cui magari a nessuno importa nulla, ma che una volta avrei trattato senza alcun freno. E si che nel 2022, dopo un vero e proprio disastro a livello di interazioni col blog – anche perché ho dato molto, forse troppo, alla pagina facebook, quando molti contenuti potrei passarli pure qui – siamo tornati a livello di 60mila visualizzazioni, che non saranno le 100mila del 2016, ma insomma meglio delle 20mila che ho visto in momenti ben più recenti, per tacere dell’ottimo risultato di arrivare personalmente a parlare con membri dell’ormai ex governo e di tante altre piccole rubriche e soddisfazioni nella pagina.

Ma cosa mi è successo? E’ successo che forse in questo 2022, direi in particolare dal secondo semestre, si è rotto, in maniera probabilmente definitiva, parte non tanto del mio entusiasmo quanto nella mia fiducia nel nostro lavoro di Guardie e probabilmente nelle stesse istituzioni che ci troviamo a rappresentare, per tacere di cosa sono arrivato a pensare del cittadino che sono chiamato a proteggere, che in questo ultimo periodo sta dando il peggio di se nell’insultare, denigrare, svilire e sputare sulla nostra figura, ormai odiata in maniera demente ed incontrollata grazie anche a campagne stampe troppo puntuali per non crederle orchestrate e volute. Nella mia sparizione va anche considerato il fatto che sto seguendo faticosamente e tragicamente una “università”, che devo dedicare giustamente del tempo alla mia compagna e che sto inoltrandomi sempre di più nell’abisso della rievocazione e della ricerca storica fortunatamente tenendomi quanto più possibile nell’ambito di un qualcosa pubblicabile anche in questo spazio, e l’articolo sulle Guardie nella Storia credo ne sia l’esempio più lampante.

Dicevo però che la rottura maggiore è stata proprio con il nostro lavoro, con quel che rappresenta e che purtroppo non riesco più a nascondere. Ne ho parlato a lungo nel blog, e come non mai sono arrivato ad un passo dal mollare, dal riconoscere un fallimento prima personale che professionale, ad arrendermi ad aver gettato, se non dieci, almeno quattro anni nel gabinetto della vita e la pandemia non ne è una scusa. Se sono ancora qui, è merito di una sola frase di un solo collega in mezzo a decine di messaggi di incoraggiamento – di cui ringrazio tutti, sia chiaro – mandatami via WhatsApp: “così facendo smetteresti di essere un civil servant”. Avevo già scritto la lettera di dimissioni e trovato un altro lavoro, per capirci.

Questo 2023 quindi inizia davvero come una resurrezione dalle ceneri, le mie in primis e probabilmente quelle dell’intera categoria, macerata dalle divisioni, frustrata dalle condizioni di lavoro, funestata dall’odio ormai culturale più che sociale, colpita da una vera e propria diaspora del personale in fuga verso altri lidi, e ne avessi sentito uno, di quelli che hanno gettato la spugna, dire che si è pentito e tornerebbe ad indossare la nostra divisa.

“De ceneri surgimus”, e non sono manco sicuro sia latino corretto, era il motto che avevo pensato per un progetto che avevo a proposito di un nuovo reparto da creare in un Comando dove prestavo servizio qualche anno fa, poi come sempre è andato tutto a monte e pazienza, ma penso di rendere comunque l’idea: il mio 2023 deve essere un anno di rinascita dopo essere ed essermi bruciato. E lo sarà intanto nel tentare di riprendere più spesso in mano questo blog, fosse anche solo postandoci contenuti già visti nella pagina e ripubblicandone dal blog al social. Lo sarà nel continuare la ricerca storica e magari trasformarla in una lezione da portare nelle scuole, con una educazione civica ed alla legalità nuova, basata sull’evoluzione del diritto piuttosto che su una sua spiegazione distaccata e dogmatica. Lo sarà nell’andare avanti con la laurea e col sogno di diventare “lo sceriffo” di un posto da fare mio, di cui sentirmi davvero parte, lo sarà magari andando a parlare dal vivo, a future guardie, di quello che è questo lavoro così bello e dannato.

A proposito di ceneri, da quelle del vecchio governo e della mai abbastanza condannata riforma fasulla che stavano tentando di sviluppare, sono nati due nuovi disegni di legge. Si tratta di due testi con relatori di maggioranza, che arrivano dopo qualche inciso incoraggiante del Ministro dell’Interno su un futuro occhio alla nostra condizione, due testi che andrò ad analizzare articolo per articolo ed eventualmente emendamento per emendamento, ma che per ora lascio da parte per una analisi su di noi, peraltro recentemente postata sulla pagina.

La categoria sia essenzialmente ad un bivio: o restiamo quel che siamo, a peggiorare, o diventiamo ANCHE contrattualmente e soprattutto culturalmente – sia all’interno che all’esterno – una Polizia. Sia chiaro: operativamente e giuridicamente lo siamo già e dopo 8 anni di blog non devo certo stare qui a spiegare nuovamente i perché.

Il bivio pare essere tra una lettura contrattuale ed una filosofica: si è “polizia” perché si hanno i diritti e le tutele delle Forze Statali come da legge 121 o si è “Polizia” perché più che un lavoro è una missione e conta quindi quello che si fa, il poterlo – e doverlo – fare senza umilianti limitazioni o escamotage e lasciando ad altre figure i compiti ausiliari che di missione hanno poco mentre di mansione hanno pressoché tutto?

Beh, anche se sfortunatamente ho lasciato l’età dell’idealismo da tanto, ancor oggi non ho dubbi: se il prezzo “della 121” è fare sostanzialmente l’ausiliario territoriale, avere statuito, di nuovo, nel 2023, che fuori servizio mi trasformo in una zucca e fuori territorio, se armato, sono un pericoloso criminale o comunque “devo giustificarmi”, se il prezzo è togliere qualsiasi figura ausiliaria per relegarmi a ciò che una polizia la fa odiare cercando di nascondere questa realtà dietro qualche centinaio di euro lordi al mese e qualche speranza pensionistica, beh, alla vecchiaia ci si arriva tutti ma prima della vecchiaia esiste la vita e non ho deciso di fare la Guardia per stipendio o pensione.

Questo lo dico perché, attenzione, c’è almeno un altro settore interessato, e probabilmente destinato, a diventare protagonista nella prima linea della sicurezza, e il rischio che questo settore ci tolga il controllo del territorio non è così remoto, e la sua conseguenza sarebbe che da Guardie ci si ritroverebbe Controllori, con un decalogo di sanzioni da fare e le qualifiche di polizia mantenute giusto perché se qualcuno rifiuta di declinare le generalità o ci aggredisce dovremmo poter cavarcela da soli così da non disturbare quelle che, comunque, resteranno agli occhi di tutti le “vere” Forze di Polizia.

Ormai è noto che per me il nostro futuro parte dal creare all’interno dei Corpi un vero e proprio settore ausiliario, sul modello americano, dove dipendenti, colleghi, di categoria B, si occupino del rilievo delle soste, della viabilità ordinaria, delle notifiche, delle residenze semplici, non ausiliaria del traffico, quindi, ma ausiliari di polizia, con i loro compiti repressivi ma anche diversi, con il loro spazio e la loro professionalità diversa da quella del personale investito delle qualifiche che rendono doveroso un suo impiego in altri generi di controlli e servizi.

L’ausiliare del traffico è ormai dal 2007 una figura ben delineata, che già ora potrebbe essere evoluta nella direzione indicata nel capoverso precedente, ma snobbata dalle amministrazioni, che spesso assumono personale di polizia destinandolo a servizi di sua competenza e di fatto commettendo due gravissime violazioni. La prima nei confronti dei dipendenti, perché l’ausiliario è una categoria B e l’agente una categoria C, e la giurisprudenza ci insegna che l’assegnazione, prioritaria od occasionale, di mansioni di una categoria diversa – salvo eccezionalità più che comprensibili – è mobbing. La seconda nei confronti dello Stato, con una spesa di equipaggiamento, vestizione, formazione e retribuzione di personale per delle mansioni che non rientrano in quelle previste dalla figura per la quale si fa l’investimento, cosa che dovrebbe interessare alla Corte dei Conti molto più di quanto danno a vedere.

Chiudo questo articolo di rinascita con un’ultima grande speranza: alla faccia di chi ancora, tra funzionari e amministratori, ritiene che il “posto fisso” debba essere una sorta di catena, che è rimasto ai tempi in cui il lavoratore doveva dire grazie al padrone perché lo fa lavorare, vediamo sempre più spesso giovani agenti dare le dimissioni, anche dopo brevissimo tempo, per andare in altri comandi potendo scegliere loro come lavorare in base le condizioni o le notizie ricevuto dal passaparola tra colleghi: questo succede perché siamo finalmente arrivati al turn over e continuamente escono concorsi e concorsoni: chi è in gamba ora riesce a cambiare, ed a restare saranno solo gli “amici di…”, con tutti i favori che si portano dietro, gli Yes Man inconcludenti e i pochi costretti da famiglia o altri motivi privati, che comunque possono sempre passare al comune accanto.

È FINITA LA CUCCAGNA, ed ora spetta ai comandi rendersi desiderabili per avere operatori in gamba e che rimangano a lungo, e lo dico con l’orgoglio di chi, dopo essersi sentito dire con sufficienza che “a continuare così girerà la voce che sei un problema” si è visto ricevere offerte o comunque avvicinare da 5 comandi in circa due mesi.

Ed anche questa è una rinascita.

BUON 2023, GUARDIE! Facciamo che sia l’anno buono, l’anno nostro, di ognuno di noi!

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