Ho enormi difficoltà a parlare di Forze di Polizia e suicidi, di Guardie e suicidi, un po’ per la differenza basica che esiste tra le Polizie di questo paese: ci sono polizie civili, polizie militari, polizia statali e locali, polizie a competenza generale e polizie che, pur avendo qualifiche generaliste, hanno di fatto competenze specifiche. Certamente la differenza giuridica più grande è quella tra Forze di Polizia Statali e Locali: non è questo lo spazio in cui vorrò inserirmi nuovamente in questa diatriba, ma è un fatto che, come appartenente alle Forze di Polizia Locali, ho difficoltà ad interagire e commentare situazioni e degenerazioni che avvengono o che percepisco nelle amministrazioni statali, che spesso hanno difficoltà a riconoscermi la dignità della dicitura “operatore di polizia, quindi figurarsi a prestare orecchio alle mie eventuali conclusioni.
Tuttavia è innegabile che esiste un fenomeno, quello dei suicidi del personale di Polizia e di Soccorso, che va oltre la dipendenza amministrativa, le qualifiche funzionali, le competenze di fatto espletate nel servizio. Un fenomeno che conta, tra il 2020 ed il 2022 ancora in corso, oltre 150 casi, che fa, in media, un suicidio alla settimana, diviso tra Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Polizia Penitenziaria, Polizia Locale, Forze Armate, Vigili del Fuoco e Vigilanza Privata – fonte osservatorio suicidi in divisa – ed in ognuno di questi eventi le amministrazioni tendono a sminuire il problema interno tentando di rilevare nell’ambiente esterno la causa del terribile gesto.
L’ultimo avvenimento in ordine cronologico, di oggi, è il suicidio di un sottufficiale della Guardia di Finanza con quasi 30 anni di servizio: prima di premere il grilletto, l’operatore ha inviato una lunga mail a diverse testate giornalistiche spiegando per filo e per segno i motivi della sua tragica scelta. La pubblicazione di questo testo è, per chi vive quotidianamente le stesse situazioni, un dovere morale prima che un atto di rispetto verso la memoria di chi ha deciso di mettere nero su bianco problematiche di tipo organizzativo ed amministrativo che, nello strapotere di organi che si crogiolano della loro stessa possibilità di giostrare le vite altrui, troppo spesso risultano impunite del dolore e delle conseguenze che i loro atti riversano su chi ne è vittima e no, non ho scelto una parola a caso.
Lo scrivente Maresciallo Aiutante della Guardia di Finanza in servizio presso la Sala Operativa del Comando Provinciale di Pistoia, scrive la presente mail alcuni minuti prima del proprio decesso al fine di far conoscere le cause che lo hanno portato a prendere questa decisione.
E’ agghiacciante come sia consapevole di ciò che ha deciso e di quello che farà: in questa apertura c’è una dignità veramente da onorare.
Preciso che questo mio gesto è legato esclusivamente alle vicende lavorative in quanto non ho problematiche fisiche, familiari ed economiche.
Se sono arrivato a questo punto è perché nella Guardia di Finanza c’è una tensione altissima. La gerarchia vuole che agli occhi dell’opinione pubblica l’immagine del Corpo appaia perfetta, senza interessarsi minimamente del personale.
Ne abbiamo visti tanti di colleghi ammazzatisi, lo sappiamo e lo sa pure lui, che tenteranno di far passare che i problemi erano fuori: anche qui, vediamo una lucidità che, pensando a quello che è successo poco dopo, mi commuove, così come mi colpisce l’invettiva verso il Corpo di appartenenza ed il particolare il riferimento ad una “tensione altissima” che ritengo fosse palpabile anche in gran parte dei Comandi ove ho io stesso prestato servizio.
Nel mio caso, sono stato impiegato per più di 25 anni in una sala operativa, prendendo unaspecializzazione (ESI – Esperto per la sicurezza delle informazioni) e diverse qualifiche necessarie per poter operare in settori di servizio specifici ed ora, dopo aver ottenuto il trasferimento a Viterbo, (DOPO QUASI 29 ANNI DI SERVIZIO E INNUMEREVOLI DOMANDE PRESENTATE) non ho mai fatto, nonostante ci siano uffici, (sala operativa e sezione operazioni) alla stessa sede, in cui è previsto l’impiego di personale con la mia specializzazione (E’ VERO CHE ALCUNI DI ESSI SONO AL COMPLETO COME NUMERO DI MILITARI MA NON TUTTI HANNO LA SPECIALIZZAZIONE PER POTERVI OPERARE PERTANTO SONO “ABUSIVI”).
Preciso che per i settori di servizio che dovrò affrontare ho ricevuto delle nozioni risalenti al periodo del corso di formazione frequentato da ottobre 1993 a luglio 1995.
Ed è questo il capoverso più importante della mail: l’insoddisfazione professionale cronica e continuativa che attanaglia gli operatori di Polizia, numeri, più che persone, ai quali ogni concessione o approvazione di trasferimento o avanzamento viene mostrato come un favore, qualcosa per cui dovranno forse un giorno dare qualcosa in cambio, un gioco delle parti, mai un vero e proprio crescere personale e professionale per merito. Un favore, cui devi dire grazie, senza pretendere nulla, fregandotene se, alla faccia della preparazione, si viene sbattuti a fare servizi diversi da qualsiasi brevetto – o anche semplice ambizione- perché magari altri hanno, per mera anzianità o amicizia o perchè “si è sempre fatto così” il ruolo per il quale si è combattuto a suon di preparazione personale, figure spesso di cui ci sarebbe anche bisogno, ma vengono tenute all’osso per dare corso a servizi inutili o di facciata, o semplicemente per tenere una divisione interna su cui giocare il più classico dei “dividi et impera”. Devi dire grazie e rinunciare ad ogni professionalità, perché una richiesta accolta non è un merito, o un riconoscimento, è una specie di “grazia”. Un vero e proprio sistema clientelare mascherato dietro la parola “disciplina” e a motti ormai privi di ogni significato coi quali si tenta di convincere il personale in divisa che il suo ruolo sia quello di rinunciare ad ogni ambizione nel nome dell’ubbidir tacendo e tacendo morir. Beh, forse ora i morti sono un po’ troppi perché si possa continuare a tacere.
Notevole anche il riferimento alla scarsità della formazione, un trucco ben noto a diverse amministrazioni: meno formi gli appartenenti, più facilmente hai personale da gettare letteralmente in qualsiasi attività proprio perché nessuno può imporsi con un curriculum superiore agli altri, e quindi ecco servita la selezione “per anzianità” o “per matricola” invece che per competenza, in un contesto dove sempre più operatori si pagano di tasca propria la formazione per poi vedere i certificati e gli investimenti fatti in essa trattati come carta straccia.
Questo nuovo impiego, a cui sarà destinato, ha suscitato in me una forte tensione emotiva dovuta anche allo stress che ho accumulato nel corso degli anni di servizio poiché, sono stato impiegato anche in turni di 12/18 ore continuative o senza rispettare l’intervallo tra un turno e l’altro che deve essere di 11 ore (INVECE MOLTE VOLTE NELLA STESSA GIORNATA HO FATTO 8/14 E POI 20/08 OPPURE 20/08 E POI 14/20).
Viene trattato anche il problema dei turni impossibili, di come questi vengano a volte imposte, e, questo lo aggiungo io, di contro, a volte vengano spezzati anche quando forse sarebbe importante per il prosieguo dell’attività anche concedere di restare in servizio: la vita di un operatore di Polizia, per definizione, non ha orari, ma tentare di trasformare questa particolarità del servizio in una scusa per oberare gli operatori di turni nel nome del “sacrificio” è un’altra prassi folle della burocrazia che ha preso in mano l’organizzazione delle attività di Polizia.
La mail si chiude con alcune indicazioni ai famigliari ed infine con la richieste che alle esequie non sia presente alcuna rappresentanza della Guardia di Finanza e che chi volesse presenziare lo faccia in borghese.
Sono molti i commenti sui social a questo testo, un testo coraggioso anche per questo: alla facile via del “Riposa in pace” generale, il collega ha scelto di dare il via ad un ultimo dibattito, consapevole che ci sarà chi minimezzerà il tutto in “potevi cambiare mestiere” o peggio. Si è messo in gioco non fino la fine, ma oltre la fine.
Per alcuni il “cambia mestiere” non è una soluzione, per tanti la divisa è qualcosa di più di un lavoro e questo di più è un qualcosa che nessuno che non abbia mai indossato – o lo abbia fatto per forza – la veste di Operatore di Polizia o di Soccorso potrà mai capire. L’infrangersi di questo “qualcosa” è un lutto enorme, assimilabile alla perdita di un congiunto, che spezza interiormente e distrugge quello che si pensava fosse il senso della propria vita. E’ un dolore che nemmeno chi prova riesce a spiegare con le giuste parole e che purtroppo può portare a scelte estreme.
Così come combattere tutto questo può essere un altro modo di reagirvi, ed è proprio per rispetto verso i colleghi che hanno scelto l’altro modo, quello tragico, che tutti noi che sappiamo può esistere un modo diverso di essere Operatori di Polizia dobbiamo farci portatori della loro voce. Perché un sistema dove ti consigliano, al momento in cui ti viene chiesto di cosa desideri occuparti, di rispondere con l’opposto di ciò che vorresti, perché “loro fanno sempre l’opposto di quello che chiede il personale” è un sistema marcio, corrotto e in decomposizione che deve SPARIRE.
Un sistema dove la cultura è un difetto perché un operatore consapevole è un operatore problematico deve SPARIRE.
Un sistema dove le assegnazioni non sono motivate, ma decise dall’alto, spesso su bandi e circolari prive di requisiti o selezioni, deve SPARIRE.
Un sistema dove la formazione viene centellinata nella creazione di elite e dove ogni iniziativa di crescita del singolo viene bollata come sbagliata, spreco di soldi e di tempo, volutamente ignorata e magari non riconosciuta, deve SPARIRE.
Un sistema che è l’orgia di potere e di connivenze di pochi a discapito dei molti che formano un reparto, un comando, un corpo DEVE SPARIRE.
150 suicidi in 3 anni scarsi, per tacere di centinaia di casi taciuti, spariti dalle cronache e perfino dalle discussioni tra colleghi, di depressione, spostamenti, dimensionamenti, punizioni e svilimenti sono qualcosa di troppo grande per essere bollati come “problemi personali” e “incompatibilità ambientali” da personaggi infimi che non hanno rispetto dei loro agenti nemmeno dopo morti e che basano il loro potere in un sistema che fa del mobbing la leva e la minaccia su cui basa l’esistenza di chi rimane.

Beniamino Presutti, 50 anni, maresciallo aiutante della Guardia di Finanza, si è ucciso con un colpo di pistola. La sua voce non si è spenta con l’eco dello sparo.