Storie di Guardie

Storie di Guardie: l’omicidio di Nicolò Savarino

Sono già passati 5 anni dall’articolo in cui, nel 2017, ho annunciato che nel 2012 “l’Italia scoprì che i “vigili” possono morire, e se ne fregò!”: invito chi ne abbia voglia a rileggerslo perché, oggi, nel 2022, a DIECI ANNI da quel tragico giorno che segnò per sempre l’intera categoria, potrei scrivere le stesse cose. Ed è infatti per questo motivo che, oggi, non voglio farlo. Le argomentazioni, le rivendicazioni, le necessità della Polizia Locale sono le stesse del 2017 e del 2012, e nonostante questo nulla è cambiato nel nostro status ed il testo di riforma in discussione, pur se si spera opportunatamente emendato, cambierà troppo poco rispetto quanto necessario.

Oggi parlerò di lui, di Nicolò, della sua morte, e del caso giudiziario civile e penale che ne seguì, un caso con uno sviluppo che definire allucinante è non avere in realtà le giuste parole.

Onore Collega. Io c’ero il giorno del tuo funerale, in divisa in cattedrale a piangere realmente la tua scomparsa. Ho conosciuto la tua famiglia e con i colleghi ti abbiamo dedicato due memorial di tiro. Mi dispiace per come la giustizia italiana non abbia voluto dare le giusta pena a chi ti ha strappato alla vita. Un abbraccio Fratello ci vediamo lassù.

Dal web, testimonianza di un collega

Il 12 gennaio 2012 Nicolò Savarino, 42 anni, ed un collega erano in servizio velomontato – sarebbe a dire in bicicletta – nei pressi della stazione Milano Bovisa. Mentre stavano controllando un veicolo, un SUV BMW X5 bronzato, partito da un vicino parcheggio, passò sul piede del conducente del mezzo controllato. Savarino ed il collega si avvicinarono immediatamente al veicolo e fu Nicolò a mettersi di traverso con la bicicletta quando il conducente ripartì a tutta velocità noncurante dell’agente che tentava di fermarlo, agganciandolo e trascinandolo per centinaia di metri prima di lasciarlo agonizzante sull’asfalto: morirà poco dopo all’ospedale Niguarda. Un omicidio volontario di rara violenza che inizialmente fu narrato come incidente stradale. Su quel SUV, si scoprirà poi, si trovavano due giovani rom, il ventiseienne Milos Stizanin e, alla guida, l’allora minorenne Remi Nikolic, il mezzo, fu abbandonato poco dopo e ritrovato il giorno successivo ancora sporco di sangue e di vernice riconducibile alla bicicletta in dotazione. Stizanin e Nikolic, già fortemente indiziati, saranno poi fermati ed estradati in Italia grazie alla collaborazione delle autorità bosniache e ungheresi.

Durante la quotidiana attività di controllo del territorio a bordo del velocipede di servizio, aveva modo di assistere all’investimento di un pedone da parte di un fuoristrada, il cui conducente tentava di allontanarsi. Al fine di identificarlo e di scongiurarne la fuga, nonostante il manifesto pericolo per la propria incolumità, non esitava nel tentativo di sbarrargli la strada, ma veniva travolto e trascinato dal veicolo investitore per centinaia di metri, perdendo tragicamente la vita. Fulgido esempio di elette virtù civiche ed altissimo senso del dovere, spinti fino all’estremo sacrificio.

La motivazione della Medaglia d’oro al Valor Civile conferita alla memoria di Nicolò

Il processo ai due rom prenderà fin dall’inizio una piega poco incoraggiante per la famiglia: quasi immediate furono le polemiche sull’effettiva minore età del conducente, poi accertata, ancor peggio saranno le attenuanti che gli permetteranno di cavarsela in appello con una condanna a meno di 10 anni, dopo i 15 valutati in assise ed a fronte dei 26 chiesti dall’accusa: per i giudici della Corte fu rilevante l’eccezione del «contesto di vita familiare» del ragazzo nato in carcere da madre detenuta, contesto «caratterizzato dalla commissione di illeciti da parte degli adulti di riferimento» e da «totale assenza di scolarizzazione» sollevata dai difensori e propugnata anche dai servizi sociali. Preciso per puro autolesionismo che certa politica di allora, per strumentalizzare la notizia, diffuse una immagine che indicava che la vittima fosse un carabiniere, tanto che il portale BUTAC – Bufale un tanto al chilo si sentì in dovere di precisare che invece si trattava di un “vigile urbano”. Non so se facciano più schifo i politici o chi ebbe la necessità di sottolineare una presunta differenza tra le due figure.

Stizanin, indagato inizialmente per concorso in omicidio volontario, a luglio 2020 è stato definitivamente assolto dall’accusa “per non aver commesso il fatto”, derubricando la sua condotta in semplice favoreggiamento. L’accusa, che aveva chiesto 14 anni, ha proposto il ricorso contro la sentenza.

Tornando a Nikolic, nel 2017, dopo 5 anni di detenzione, è stato scarcerato su disposizione della procura minorile – sebbene a questo punto ormai ben che maggiorenne – ed affidato in prova ai servizi sociali del Comune di Milano che riuscirono ad ottenere per lui l’erogazione di una borsa di lavoro presso il Teatro alla Scala. Anche in questo caso l’ondata di sdegno fu calmierata dal portale BUTAC che sottolineò come tale istituto fosse previsto proprio per i carcerati in un’ottica di reinserimento nella società: tutto vero, ma c’è modo e modo e soprattutto opportunità nel fare le cose e destinare le persone in modo da non farlo sembrare una provocazione.

In ogni caso l’istituto giovò poco al recupero del giovane rom, in quanto nel 2020, appena terminato di scontare – libero dal 2017 – l’originale condanna, l’ormai 26enne Nikolic entrò in pianta stabile in una banda di ladri acrobati specializzati in furti in appartamento poi smantellata dalla Polizia di Stato nel luglio dello stesso anno dopo aver messo assieme quasi 200mila euro di bottino: nonostante questa nuova prodezza, Nikolic da gennaio 2021 è stato nuovamente scarcerato e posto in regime di arresti domiciliari presso la madre.

10 anni. Ero di pattuglia quando arrivò quel messaggio, fatto girare anche ai colleghi dei comuni limitrofi a Milano. Era successo qualcosa di grosso e un collega ci aveva lasciato. Dopo poco apprendo che quel collega era lo stesso che avevo conosciuto qualche settimana prima nel parco, al confine, entrambi ci stavamo prendendo qualche minuto di pausa, scambiammo qualche chiacchiera, un saluto e via ognuno per la propria strada. Ciao collega.

Un altro ricordo dalla bacheca di un collega milanese

L’ultimo capitolo – non in ordine temporale – della vergognosa vicenda giudiziaria attorno l’omicidio Savarino vede protagonista la famiglia ed il tentativo di ottenere un risarcimento: ricordiamo che nel periodo del fatto gli istituti della causa di servizio e dell’equo indennizzo erano stati sospesi per gli operatori della Polizia Locale – governo Monti, 2011 – per venire ripristinati solo in parte nel 2017 dal governo Gentiloni, con Ministro dell’Interno Marco Minniti.

All’epoca, il Comune di Milano rigettò qualsiasi responsabilità nella morte di Nicolò – mandato in bicicletta ad effettuare il controllo ad un veicolo, senza radio o cellulari di servizio adeguati cosicché non fu possibile chiamare rinforzi o allertare la centrale, sostenne l’avvocato di famiglia – e si rifiutò di corrispondere una somma ai famigliari, nel mentre, alla morte dei genitori – 2014 e 2015 – l’INAL pensò bene di chiedere agli eredi – i fratelli di Nicolò –  la restituzione di circa 35mila euro in assegni mensili devoluti ai genitori stessi dopo la morte del figlio.

Alla fine di questo pasticcio burocratico i fratelli decisero di rifiutare l’elemosina di 30mila euro proposta dalla compagnia assicurativa “La nostra è una battaglia di principio. Nostro fratello è morto facendo il suo lavoro e questo deve essere riconosciuto. Parte dell’importo che ci sarà riconosciuto la vorremmo spendere in attività benefiche. Dopo la morte di Nicolò abbiamo dovuto subire troppe umiliazioni. I nostri genitori si sono lasciati andare, sono morti. Noi vogliamo lottare” dirà il fratello Carmelo a Repubblica.

‘Ci sarebbero tante cose da dire oggi, tante neppure gradevoli, e non solo all’indirizzo dei soliti: quindi, evito. A differenza di tanti altri, che hanno scritto e scriveranno oggi, noi ci conoscevamo bene, visto che avevo incontrato prima te di mia figlia: e so che eri una persona sobria, che non amava la confusione e gli eccessi. Posso solo dire che eri un Vigile Urbano, orgoglioso di esserlo. Ho ancora indelebile il ricordo dell’ultima volta che ci siamo parlati, senza che lo sapessimo, e quello resterà nel mio cuore. Quindi, mi limito a un ricordo e un saluto, senza fotografie né altro. Ciao Nick, ovunque tu sia’

Un altro ricordo dalla pagina facebook

A 10 anni da quel 12 gennaio 2012, sul caso giudiziario di Nicolò c’è poco da dire. Sull’uomo di uomo di legge, invece, è ancora tutto da scrivere: solo chi indossa una divisa può capire come Nicolò sia ancora tra noi, nelle nostre parole, nei nostri pensieri, nelle nostre azioni quotidiane in servizio. Nicolò era uno di noi e ognuno di noi poteva essere Nicolò. L’uomo non tornerà mai all’affetto dei suoi cari, ma tutti noi saremo per sempre il collega che non abbiamo mai davvero perduto.

Tra le vette il mio destino avrò

Nell’alto io cadrò

In basso la realtà

In piedi su creste che

Il cielo tagliano

Abbraccio verità

Il ritornello di “Nell’alto Cadrò”, brano del gruppo folk metal bergamasco Folkstone, dedicato dai musicisti all’alpinista Robero Piantoni, morto in montagna, che A me le Guardie da sempre dedica ai caduti della Polizia Locale Italiana.

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