E diciamole le cose, come stanno, senza fare finta di nulla, senza sorrisi ipocriti, senza illusioni ormai inutili. E usiamo le parole, le poche che ci sono rimaste, per denunciare lo schifo di cui le Guardie Cittadine sono oggi vittima. Quando abbiamo pubblicato l’analisi di quella che doveva essere la nostra legge di riforma, c’era orgoglio, c’era consapevolezza che ad alcune cose si doveva rinunciare, ma fiducia che i punti più importanti del necessario rinnovo della categoria fossero stati toccati. Quando invece abbiamo saputo che, nonostante già quel testo fosse approvato da tutte le forze politiche, il Viminale ci avrebbe messo mani e correzioni, ci siamo preoccupati. Quando è stato detto, la settimana scorsa, che la proposta sarebbe stata riscritta, ci siamo resi conto di essere vicini al punto di non ritorno: dei funzionari ministeriali avevano cassato una legge scritta dal Governo. Avevo parlato di eversione, lo ripeto ora, perché uno schiaffo simile può essere concepibile in un romanzo di Dumas, col Cardinale Richelieu o chi per lui a riscrivere le lettere del sovrano, ma assume contorni inquietantissimi in un paese che vede il suo governo sottomesso ad una eminenza grigia che appare tra quelli che dovrebbero essere i funzionari e che invece ora si rivelano direttori.
Con questa doverosa e preoccupante premessa, inizio l’analisi, come di consueto, del nuovo testo, presentato oggi in pompa magna dai relatori Cattoi e Bordonali nelle loro pagine social, rilanciato dai colleghi del sindacato SulPL – la cui fiducia mi aveva fatto sperare fino l’ultimo istante – e che trovate a questo indirizzo, dove possibile, farò anche dei raffronti con la versione precedente che trovate qui.
Lo anticipo: è una lunga vergogna, uno schiaffo che non meritiamo, una delusione così cocente che viene voglia di rinnegare tutto quello in cui abbiamo sempre creduto.

Gli articoli 1 e 2 definiscono in linea generale l’ambito di applicazione e presentano varie definizioni tra cui le ormai note sicurezza integrata, sicurezza urbana, facendo tornare in auge le nozioni di polizia amministrativa locale e regionale in riferimento ai regolamenti che gli enti locali possono emettere nelle materie di loro competenza. Nel descrivere le funzioni di Polizia Locale, comunque, si parla di sicurezza urbana e di prevenzione e repressione degli illeciti. Il Corpo di Polizia Locale viene definito “l’articolazione esterna” di cui l’ente locale per l’esercizio della funzione di Polizia Locale: se le parole hanno un peso, questa è una mazzata mostruosa su chi di noi sperava un giorno di sentirsi definire “Forza di Polizia”, fosse anche stato ad ordinamento locale.
L’articolo 3 liquida i Regolamenti di Polizia Urbana aggiungendo un articolo 5 bis al Decreto Sicurezza del 2017 dove sostanzialmente dice che i comuni possono scriversi dei regolamenti propri con obblighi e divieti per garantire il decoro urbano, la fruizione degli spazi pubblici e perfino “rimuovere le situazioni che possono far sorgere reati in particolare di tipo predatorio”: considerato il tono del testo presumo intendano la rimozione dei veicoli dimenticati aperti. L’articolo 4 rimarca lo scambio di dati e statistiche per predisporre interventi di riqualificazione efficaci, in maniera simile al primo testo.
L’articolo 5 è una supercazzola nella quale si ribadisce che si chiede almeno alle Polizie Locali dei capoluoghi di effettuare il servizio nelle 24 ore per la rilevazione degli incidenti stradali: lo sappiamo, è la grande competenza che lo Stato non vuol dare ai suoi figli prediletti, e lo ribadisce di continuo, però continuando a non imporre il medesimo servizio uniformemente in tutto il territorio. Sostanzialmente in venti righe ripetono questa cosa due volte, con noi sempre polizia locale e loro Forze di polizia. Notate le maiuscole. All’articolo 6 si parla della conferenza regionale sull’attuazione dei programmi di sicurezza integrata: se nel vecchio testo a questo genere di incontri partecipava il Comandante della Polizia Locale, stavolta vi partecipano solo i sindaci, levando ogni rapporto diretto tra noi e la prefettura. Praticamente siamo indegni di un confronto faccia a faccia.
L’articolo 7 elenca le funzioni della Polizia Locale nel modo che incolliamo direttamente dal testo:
a) polizia amministrativa locale;
b) polizia dell’edilizia e dell’urbanistica;
c) polizia del commercio;
d) esercizio del prelievo ittico e venatorio;
e) polizia ambientale, fermo restando i compiti riservati alle Forze di polizia e ai Corpi forestali delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano;
f) polizia stradale, ai sensi dell’articolo 12, comma 1, lettere d-bis) ed e), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285;
g) vigilanza sul patrimonio pubblico dell’ente di appartenenza;
h) funzione di supporto all’attività di accertamento dei tributi di competenza dell’ente di appartenenza, attraverso il rilevamento di dati, fatti e situazioni;
i) concorso alle attività di soccorso in caso di calamità e disastri o altre emergenze di protezione civile secondo quanto previsto dall’articolo 12, comma 6, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1 e nel rispetto delle previsioni della presente legge.
Vi sembra manchi qualcosa? Vi sembra manchino evidenti indicazioni su sicurezza urbana, attività investigativa? Vi sembra scritto negli anni ’80? Anche a me. Al comma 2 comunque viene specificato che gli appartenenti alla Polizia Locale rivestono la qualifica di Agenti o Ufficiali di Polizia Giudiziaria in base il ruolo, e di agenti di Pubblica Sicurezza, ma, attenzione, ecco nero su bianco ancora che “Il Corpo di Polizia Locale ha funzioni ausiliarie di Pubblica Sicurezza”, quali? Non lo sappiamo, stante che la qualifica in capo agli operatori rimane di agenti tout court. In ogni caso viene precisato che le qualifiche valgono nei rispettivi territori di servizio (singoli, unioni o altro che siano).
L’articolo 8 ridefinisce i ruoli inserendo sottufficiali e funzionari ai già presenti agenti ed ufficiali, torna la richiesta del sindaco per la qualifica di Pubblica Sicurezza invece di essere un procedimento automatico all’assunzione – pare poco, ma era uno dei punti migliori del precedente testo, ovviamente tolto, forse ci dava troppa dignità – definisce le responsabilità dei comandanti facendo copia incolla dalla normativa attuale ed infine rimette alle regioni la scelta di livree, divise e segni distintivi, sottolineando come sarà il Ministero a vagliare se vanno bene o meno, e precisando che non devono richiamare quelli delle polizie statali. In Francia, per dire, cambia la scritta “municipale” dopo “police”. Nel precedente testo si parlava di livrea e divise nazionali. Mi verrebbe voglia di fermarmi qui, ma continuo a farmi male e proseguo.
L’articolo 9 ci dice che dipendiamo dal sindaco o dal presidente di provincia o dall’assessore delegato, ma che la Magistratura può avvalersi di noi come aliquota all’interno del Tribunale, esattamente come ora e che possiamo espletare le funzioni fuori territorio per determinate ragioni e previo accordi tra enti, di cui va messo a conoscenza il prefetto (sia mai che sgarriamo). L’articolo 10 descrive come devono essere fatti i Regolamenti dei Corpi di Polizia Locale: esattamente come sono già.
Gli articoli 11 e 12 demandano alle singole regioni la vestizione, le dotazioni, la formazione, l’aggiornamento, le unioni di servizi. Ogni singola regione. Nessuna indicazione di massima, nessuno standard minimo, nulla. Resteremo lo schifo a macchia di leopardo che siamo ora. Nell’articolo 13 si lascia sempre alle regioni l’organizzazione e la promozione dei servizi unificati.
L’articolo 14 parla dei comandanti facendo istituire ad ogni regione un albo professionale – se si è in uno si può partecipare ai bandi anche in altri territori – e richiede almeno 5 anni di servizio nelle Polizie Locali. Rimane la nomina con l’articolo 110 TUEL, ma limitata comunque dall’essere presenti nell’albo.
L’articolo 15 parla delle armi e si contraddice in modo tremendo. Innanzitutto parla di armi individuali e di reparto: possiamo immaginare le pistole come individuali e taser o carabine di reparto. Sancisce il porto anche fuori dell’ambito territoriale – e quindi a naso anche fuori servizio – ma, attenzione, sottilinea che i comuni “individuano i servizi in relazione ai quali le armi possono essere portate, nonché le modalità e i termini del porto stesso.”. Stiamo leggendo bene? I comuni decideranno quando si è armati e quando no? vedremo ancora obbrobri come certi servizi armati e certi no in base l’umore del politicante? E come si sposa col porto nazionale? Vado a zonzo con l’arma sempre e in certi casi, in divisa, la lascio in armeria perché il sindaco ha deciso che – ad esempio – le scuole si fanno senza l’arma?!
L’articolo 16 impone strumenti di autotutela oltre l’arma – sparisce l’analogia con quelli in uso alle Polizie Statali presente nel precedente testo – e consente la dotazione di strumenti di ripresa audio video, previo regolamento della solita regione approvato dal garante della privacy: facciamo prima a rinunciarci e ringraziare per uno spray al peperoncino.
L’articolo 17 parla della patente di servizio dimenticando di dire che chi ne è già in possesso non deve rifarla e che va riconosciuta di diritto a chi è in servizio: praticamente rischiamo di dover rifare gli esami. Ah, non paghiamo le autostrade coi mezzi di servizio che devono avere targa speciale.
Articolo 18, le banche dati: viene confermato l’accesso gratuito a tutte quelle ad oggi a pagamento (tipo il PRA, ma anche le camere di commercio) con un bel risparmio dei nostri amati bilanci comunali, e al CED, o SdI o come volete chiamarlo. Bello? No, perché viene specificato che abbiamo accesso alle informazioni sui veicoli rubati, su eventuali procedimenti o provvedimenti in capo alla persona controllata, ma non a precedenti o altre annotazioni, il che vuol dire che si, potremo sapere se stiamo fermando uno che ha in testa un mandato di arresto o è irregolare sul territorio o se sta guidando un mezzo rubato, ma non potremo vederne i precedenti penali. E la valutazione per l’arresto facoltativo? La faremo con la palla di cristallo. E’ sostanzialmente la prima dicitura del nostro accesso sdi dei tempi del primo decreto sicurezza, quello che dovrebbe essere in vigore dal 2017, ma di cui l’amato Viminale non ha mai prodotto il decreto attuativo, di fatto rendendolo carta morta.
L’articolo 19 ci dice che saremo connessi direttamente al NUE 112 dove istituito: buono a sapersi, magari ci immagineremo meno operatori di centrale biascicare “ma si, passalo ai viggggili” quando interpellati per primi dal centralino d’emergenza; Ci chiameranno direttamente.
Gli articoli 20 e 21 erano, anche nella formulazione originale del testo, quelli dedicati alla contrattazione ed alla tutela e la previdenza degli operatori di Polizia Locale. Rispetto la prima ipotesi, però, è sparito ogni rimando al contratto pubblicistico, ogni rimando riferimento ad analogie con gli istituti previsti per le Polizie statali e perfino il comparto separato pur se all’interno del contratto degli enti locali; Esattamente come ora, si parla di indennità che rispecchino la nostra particolare professionalità, senza però dire niente su cosa si intenda e quindi lasciando potenzialmente le cose come stanno: con una elemosina legata alla qualifica di PS, un’altra alla turnazione e la possibilità di stabilire progetti e percorsi ogni comando per sè, senza una guida o un riferimento. Sul fronte pensionistico, si rimanda ad un regolamento da stillare nei 6 mesi successivi l’approvazione della legge, con fondi da prendere eventualmente dall’articolo 208 cds. Una sconfitta mostruosa, perché in realtà non impone nulla ed apre la strada ad altre rovinose battaglia per il riconoscimento come categoria usurante. Rimane la possibilità di essere riconosciuti vittime del dovere (almeno quello eh) e viene riconosciuta la facoltà di rimborso delle spese sostenute per i procedimenti penali legati all’eccesso colposo nell’uso delle armi o degli strumenti di coazione (riprendendo un vecchio precetto addirittura della legge 152 del 1975, ma ancora valido).
L’articolo 22 da sostanzialmente 4 mesi ai vari enti per adattare i propri regolamenti e statuti alla nuova legge.
All’articolo 23, quello delle varie abrogazioni, appare uno dei nodi già più discussi della proposta, che cito testualmente:
4. All’articolo 57 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, dopo la lettera b), è inserita la seguente: «b-bis) i comandanti e i funzionari della polizia locale»;
b) al comma 2, lettera b), le parole: «, nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza, le guardie delle province e dei comuni quando sono in servizio» sono sostituite dalle seguenti: «gli agenti e i coordinatori della polizia locale»;
c) dopo il comma 2, è inserito il seguente: “2-bis. I comandanti, i funzionari, i coordinatori e gli agenti delle polizie locali esercitano le funzioni di polizia giudiziaria connesse all’ambito territoriale dell’ente di appartenenza nonché, relativamente alle attribuzioni dello stesso ente, in occasione dell’esecuzione di interventi nelle condizioni di cui all’articolo 382, ovvero dello svolgimento di missioni esterne, disposte anche per il compimento di atti e l’esecuzione di attività ai sensi dell’articolo 370”.
Il comma C sostanzialmente ci dice che le funzioni di Polizia Giudiziaria – che nel testo sono appena accennate e ricordiamo non si vedono nelle funzioni specifiche di cui all’articolo 7 – sono connesse all’ambito territoriale nonché alle missioni esterne, allo svolgimento di attività delegate – è l’articolo 370 cpp- ed infine – articolo 382 cpp – alla condizione di flagranza. Per me questo significa che in presenza di qualsiasi reato in flagranza, si è operatori di PG indipendentemente da dove, risolvendo così uno degli annosi problemi della categoria assieme il porto dell’arma. Qualche collega pessimista ci legge invece che la nostra qualifica di PG varrebbe SEMPRE solo in caso di flagranza, mandando così a quel paese ogni possibilità di indagine indipendente. Se così fosse, però, la cosa si sposerebbe malissimo con la possibilità di avere aliquote presso la Procura e deleghe dalla magistratura, quindi propendo per un errore di lettura dei colleghi pessimisti tuttavia da mettere bene in chiaro in previsione di giudici prevenuti.
E qui, con l’abrogazione della legge 65, si chiude questa vergognosa proposta, vergognosa perché, anche volendo leggere in maniera estensiva che armi e qualifiche ce le portiamo dietro senza limiti di tempo e spazio, tutto il resto è sostanzialmente la riedizione della 65 stessa, con le stesse dipendenze assolute dal sindaco e i suoi capricci, la stessa disomogeneità dovuta alla mancanza di una regia sovra nazionale, la stessa difficoltà nell’avete contratto e tutele univoche e ben definite per tutti gli operatori di Polizia Locale, la stessa potenza dei contratti decentrati nel dirigere le nostre vite, ed, infine, la stessa sudditanza agli organi Statali. Sostanzialmente ci danno in cambio di un pezzo di ferro la Servitù di Polizia. Quella servitù per cui si pretendeva che lo schiavo fosse felice di poter cavalcare il cavallo del padrone, sebbene questi glielo desse solo per riportarlo alla stalla.

Dopo la capanna, oggi lo Zio Tom ha un bel Comando di Polizia Locale, ma l’abrogazione della schiavitù appare ancora lontana.
Il Sindacato SulPl, comunque, sta già predisponendo emendamenti: auguro che si ottenga davvero qualcosa, perché questa non è una riforma, ma un insulto.