Parlare di Genova nel 2001, in questo blog, non è per niente facile: la mia posizione l’ho esposta nel recente articolo dedicato al ventennale di quei fatti gravissimi che hanno macchiato indelebilmente l’immagine delle Guardie nel nostro paese ed è una posizione di ferma condanna. Tuttavia, per questo articolo, proprio in quei giorni ho cercato di contattare qualcuno che potesse dirmi cos’era stato per la Polizia Locale quell’evento, cos’erano stati quei servizi. Iniziamo col dire che in nessuna immagine di quei giorni si vede la Polizia Locale: non la si vede perché la maggior parte del Corpo era assegnata a servizi di viabilità ed indicazione al di fuori delle zone interessate dal summit. Essenzialmente si era o a piantonare obiettivi di rilevanza locale – il mercato ortofrutticolo, ad esempio, dove torneremo dopo – o a cercare di dare indicazioni ai civili o agli appartenenti alle Forze Statali su come raggiungere determinati luoghi, con l’ordine di allontanarsi nel caso che vi fossero disordini nei pressi dei punti di servizio assegnati: sia chiaro, parliamo del 2001, della Polizia Locale modello secolo scorso, con pantaloni frescolana, pistola, camicia e forse manette. Non è la Polizia Locale di oggi, né a Genova, né altrove, e vedo davvero poche altre possibilità rispetto la ritirata in un contesto come quello che tutti sappiamo esserci stato in quei giorni di luglio 2001.
Tuttavia, 16 Guardie Cittadine, appartenenti al Nucleo di Polizia Giudiziaria – quello c’era già – lavorarono nella zona rossa ed a stretto contatto con personalità ed autorità: si trattava di un’aliquota scelta appositamente per la scorta del Sindaco, del Vicesindaco e altri “potenti”, i cui membri erano stati selezionati per la loro esperienza nel muoversi all’interno delle strette strade del centro storico interessate dal summit.
Questi colleghi, per motivi di comodità e celerità di intervento, furono comandati a dormire – vivere direi – direttamente all’interno della Zona Rossa per l’intero periodo. Per la prima volta degli agenti di Polizia Locale furono equipaggiati con giubbotti anti-proiettili, maschere antigas e pistole in calibro 9 mm, furono forniti di nuove radio, tonfa sul modello di quelli delle Forze Statali e perfino dei vestiti su misura da indossare sopra la strumentazione.
Va da sé che i compiti dei colleghi, comunque, si limitavano alla scorta e protezione delle massime cariche cittadine e che non era previso prendessero parte a comizi e tantomeno a scontri, dovendosi limitare appunto ad incontri istituzionali e poco altro: ora non aspettatevi situazioni da Bruce Willis in Die Hard nelle prossime righe però qualcosa di emozionante avvenne.
Il secondo giorno, per esempio, partirono dal Palazzo Comunale – fuori Zona Rossa – per scortare il Vicesindaco ad un evento quando svoltato un angolo si trovarono di fronte un blocco di manifestanti: il “secondo cittadino” volle quindi che si fermassero e rimase a parlare per qualche minuto con i dimostranti, sotto la protezione dei colleghi che, al di là di dover limitare qualche eccesso, non si trovarono in condizioni di pericolo tali da dover chiamare supporto.
Ben più movimentato fu quel che successe a Palazzo Tursi, sede del comune e in Zona Rossa si, ma collegato tramite una vetrata ad un altro palazzo da cui si poteva accedere dalle zone esterne: si trattava, in sostanza, di un piccolo buco nella sicurezza che avrebbe potuto permettere il passaggio di persone da un’area all’altra delle recinzioni semplicemente sfondando la citata vetrata. Un gruppo di manifestanti, un po’ meno pacifici di quelli incrociati dal vicesindaco, aveva scoperto questa falla e gli 8 colleghi presenti a palazzo si trovarono a dover rinforzare con gli armadietti di ferro ed altri suppellettili, piazzandosi poi dietro la barricata: fortunatamente, vedendo la vetrata rinforzata e presidiata, i manifestanti rinunciarono.
Una scena simile, tra l’altro, capitò al Mercato ortofrutticolo all’Ingrosso, ad un gruppo di agenti della Locale in divisa, di presidio all’edificio, che videro arrivare un grosso gruppo di dimostranti con evidente intenzione di assalire l’area: si chiusero dentro e barricarono la porta, evitando l’ingresso dei facinorosi e presidiando la zona senza reagire. Voci vogliono che fossero con il colpo in canna e pronti al fuoco, ma le nostre fonti hanno in realtà smentito questa ricostruzione un po’ estrema di quello che accadde.
Morale dell’articolo è che, certo, non abbiamo da raccontare fatti particolari o violenti relativi la Polizia Locale genovese in quei giorni: considerando quello che tutti sappiamo, è già un successo. Di contro, non abbiamo nemmeno particolari eroismi, ma chiunque conosca un minimo il nostro lavoro e la differenza tra ciò che è reale e quello che è finzione cinematografica, capirà che anche questi aneddoti rappresentano un punto fondamentale nell’evoluzione da quello che era il Vigile Urbano a quello che è la Polizia Locale, così come quei 16 colleghi, molti dei quali ora in pensione, hanno rappresentato per il Corpo genovese un trait d’union tra la storia passata e quella recente, una botta di strumenti, equipaggiamenti e sensazioni mai provate prima e che sono diventate la base per cui oggi possiamo senza dubbio parlare di Genova come una delle città più avanti nella gestione, formazione e dotazione dei suoi agenti.
Tutto partito da 16 Guardie Cittadine comandante a scortare e proteggere gli amministratori locali durante alcuni tra i giorni più oscuri della nostra Repubblica e delle sue Guardie.