riflessioni

Una vergogna con cui ogni divisa deve fare i conti: Genova, 20 anni dopo.

Quello che è successo al g8 del 2001, è un conto aperto che chiunque indossa la divisa ha con la società. Quello che è successo, ormai inutile quanto assurdo tentare di sminuire o negare, riecheggia in quello che si è visto succedere di nuovo, molto di recente, stavolta con tanto di video che, pur nell’attesa della pronuncia della Magistratura, sembrano aver poco da ingannare.

Ma da quello che è successo in quei giorni, da quello che è successo in via Tolemaide, alla scuola Diaz, al carcere di Bolzaneto, dovevamo aver imparato qualcosa. Qualcosa che, attenzione, va oltre i singoli picchiatori presenti in quelle stanze e in quelle strade. Qualcosa che va oltre quello che non dovrei nemmeno dire, ovvero che se hai davanti gente a mani alzate, raggomitolata sui sacchi a pelo, o sotto custodia, non esiste sfogarvi sopra qualsivoglia violenza fisica o psicologica, indipendentemente da cosa abbiano ,o si presume abbiano fatto, prima di alzare le mani, prima di andare nei sacchi a pelo, prima di venire fermati. Se qualcuno ritiene concepibile che persone che si sono arrese vengano arbitrariamente picchiate, umiliate, sfiancate per vendetta a quello che possono aver fatto prima di arrendersi, beh, questo qualcuno non può e non deve indossare una divisa. Nessuna.

Diaz è un film che dovrebbe essere mostrato nelle scuole allievi agenti con lo spirito critico giusto affinché certe scene rimangano per sempre un brutto ricordo.

Quando però, di fronte a quello che è successo, si assiste a depistaggi di stato, a molotov portate di peso all’interno dei luoghi per “giustificare” quanto accaduto, a ministri presenti nelle sale di controllo nel mentre quei fatti avvenivano, a coordinatori ed organizzatori promossi, ad avere ancora dopo 20 anni una narrazione che tende a sminuire la gravità di quella che chi era presente ha definito “macelleria messicana” allora bisogna avere il coraggio anche di urlare che il singolo operatore presente in quei momenti ha molta meno colpa di quanto tanto la società che i media hanno detto in questi anni, e che non si parla di mele marce, ma di un intero albero che è stato volutamente coltivato affinché desse quel tipo di frutti, e se un frutto cresce male, non è colpa del frutto, ma del contadino che lo coltiva, a maggior ragione se lo fa apposta, magari per avvelenare eventuali persone cui poi lo offre.

Ed in questa similitudine in cui noi Guardie siamo i frutti, e i cittadini sono quelli avvelenati, chi sarà mai il contadino che ha voluto che i frutti fossero tossici?

Attenzione che qui nessuno dice che le Guardie debbano essere disarmate di fronte al crimine o si debba avere un pregiudizio nei confronti delle Guardie, no, anzi, si pretende che le Guardie abbiano una formazione che ci renda irreprensibili agli occhi di chi, proprio per quello che è successo, si approccia a noi con sfiducia e timore. Si deve pretendere che noi Guardie si sia formate e capaci di capire quando e con che intensità usare la forza e a non far passare lo sfogo di violenza contro i fermati come una “rivalsa“, cosa che purtroppo vedo in tanti “bravi cittadini” quando scrivono o dicono “vedrai che ti faranno in carcere” auspicando una sorta di sovragiustizia contro qualcuno che si sia macchiato di crimini più o meno efferati.

Una foto di quei giorni a Genova.

Noi Guardie dobbiamo pretendere che quel che è successo non dia pregiudizi verso quello che facciamo ora, e perchè questo succeda occorre che sia il sistema a rendersi conto di dove deve cambiare e la classe amministrativa a dover agire in modo più concreto che con comunicati indignati o aleatorie promesse di “riformare” cose che spesso manco sa cosa vogliano dire. Serve gente capace, che sappia formare, gente Giusta nel senso più puro del termine che prenda il posto di portaborse, ruffiani, intrallazzatori, politici e tutta la schiera che questi si sono creati attorno.

Perchè è troppo comodo dire che sono stati gli sbirri a picchiare. Gli sbirri a fare. Gli sbirri a volere che succedesse quel che è successo, e lavare la coscienza di tutti dando addosso agli sbirri. Se gli sbirri hanno sbagliato – e hanno sbagliato- è il sistema che li ha selezionati e formati a commettere quegli sbagli ad essere sbagliato, e, di nuovo, non è colpa degli sbirri.

Chiudo con un pensiero sulla morte di Carlo Giuliani. In quei giorni il morto è stato cercato. Scontri, caos, disordini, scarsa coordinazione e violenza sdoganata da ambo le parti: era chiaro a tutti che poteva succedere, anzi, che sarebbe successo. Anche in questo caso è comodo dare la colpa a un carabiniere di leva, di 20 anni, che si è trovato in un mezzo circondato da una folla inferocita e si è visto correre incontro una persona con un estintore in mano. Attenzione però a non cadere nell’ipocrisia, nella banalità di dire che allora è colpa di chi ha sollevato quell’estintore, un altro ragazzo di 20 anni che purtroppo in quella follia collettiva è diventato il morto che tanti avevano cercato.

20 anni dopo quella morte e quei fatti, 20 anni dopo la più grave sospensione dei diritti democratici – fino ad aprile 2020, almeno – dal dopoguerra, io vedo Guardie che sanno e sono meglio di quello che sono state dette essere, proprio in una nuova situazione di caos e tensioni crescenti sento che noi Guardie siamo in grado di distinguere quello che è Giusto, di essere giusti, di essere Guardie e non guardiani, difensori e non oppressori, servitori di tutti e non servi di pochi. Una consapevolezza ed un orgoglio che ci devono onorare di indossare ognuno la propria divisa e fare la propria parte anche per dimostrare che, nonostante il contadino forse non sia così migliorato come spereremmo tutti, i frutti stanno cercando di crescere migliori con quel poco che gli viene comunque dato. E tra di noi, nei nostri corsi, nei nostri incontri, nei nostri scambi, nei nostri discorsi, beh, in questi anni penso si sia dimostrato che siamo diversi da quelle immagini, quei fatti, quei momenti.

Noi, le Guardie, dobbiamo pretendere un sistema che ci renda orgogliosi di essere quel che siamo.

In attesa che si crei una nuova e migliore forma di Polizia, Giustizia e Socialità, noi Guardie si deve essere precursori del bene che verrà e non nostalgici del male che è stato fatto, anche se quel male, ad alcuni di noi, dava un inconfessabile senso di potere ed impunità.

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