Siamo ripresi. Facciamocene una ragione. Questo periodo non è solo il mondo dell’immagine, ma delle immagini, nel nostro caso, delle immagini riprese non più solo da sistemi di videosorveglianza pubblici o privati, ma soprattutto dalle persone che, assistendo a “qualcosa”, decidono di prendere il loro smartphone e riprenderla, quasi sicuramente per poi diffonderla in rete alla mercé di chiunque voglia commentarla od usarla per i propri scopi. Aggiungiamo che spesso si tratterà di immagini incomplete, quando non direttamente manipolate o descritte in modo da estraniarle dal contesto originario: abbiamo avuto una prova quando è stata diffusa come shockante la ripresa di un’auto dei Carabinieri rovesciata e sotto attacco da una banda armata. Era la ripresa amatoriale di un set cinematografico, ma è stato detto dopo.
Va da sé che in questa realtà operativa ogni intervento deve essere affrontato come se avessimo alle spalle una troupe televisiva: illudersi che non esistano riprese anche dell’azione più stupida, come una rimozione, è una speranza, e la domanda non è se ci siano riprese, ma se saranno mai diffuse. Consci di questa realtà moltissimi operatori optano per utilizzare a loro volta le immagini: non è una novità, tante volte assistiamo a interventi dove un collega riprende, cellulare alla mano, ed altri operano, assicurandosi così una fonte neutra e che mostri l’intervento dall’inizio alla fine.
Il passo successivo alla ripresa col proprio cellulare è la BODY CAM: ed è qui che si entra nel vivo dell’articolo, con una nuova collaborazione tra A me le Guardie e l’Associazione Thin Blue Line Italy, ed il primo “pezzo a quattro mani” sulla gestione degli strumenti e delle immagini da parte tanto del singolo operatore quanto di un Comando o un’Amministrazione in generale.
Cosa sia la body cam – dash cam se si parla delle auto- lo sappiamo: è uno strumento di video ripresa a telecamere, più o meno tecnologicamente avanzato, che consente di immagazzinare in una memoria interna ciò che il suo obiettivo riprende al fine di mantenerne traccia: ciò che è stato constatato da chi le impiega, Amministrazioni o singoli operatori, è sostanzialmente l‘altissimo potere deterrente che hanno questi strumenti verso quei soggetti portati ad inveire verbalmente o con intenti aggressivi verso le uniformi.
Cosa cambi dall’utilizzare il cellulare ed avere in sostanza un cellulare attaccato addosso, non lo so, ma so che per molti operatori la body cam ha soprattutto un impatto psicologico, una sorta di paura inspiegabile al suo utilizzo, pensando a decine di impedimenti e migliaia di denunce nel caso si osasse appuntarsela addosso: non è così: tra riprendere uno col cellulare a braccio proteso e farlo con una telecamera attaccata al petto cambia solo che mentre nel primo caso si opera in maniera poco sicura, nel secondo si hanno entrambe le mani libere.
Per iniziare a scardinare questo terrore giuridico invitiamo tutti a riflettere che già la legge 689 del 1981, all’art. 13 stabilisce che “Gli organi addetti al controllo sull’osservanza delle disposizioni per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa -…- , possono assumere informazioni e procedere -….- a rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ad ogni altra operazione tecnica”. In campo amministrativo quindi le video registrazioni di un accertamento possono essere sicuramente previste e contemplate come un atto di accertamento ai sensi e per gli effetti dell’art. 13.
In campo penale, invece, non possiamo non ricordare che le registrazioni fonografiche e audiovisive, sono utilizzabili nelle attività di Polizia Giudiziaria in virtù del principio di “non tassatività degli atti di investigazione” compendiato nell’art. 189 del c.p.p., in relazione al quale è ammissibile qualsiasi prova quando “idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti e non pregiudica la libertà morale delle persone cui si aggiunge quanto espresso all’art. 134 “Alla documentazione degli atti si procede mediante verbale”effettuabile anche in forma di riproduzione fonografica” (comma 3) cui “… può essere aggiunta la riproduzione audiovisiva se assolutamente indispensabile” (comma 4).
Senza dimenticare il santo Graal della Polizia Giudiziaria, quegli articoli 354 e 357 del CPP che, il primo nel delineare gli Accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose, sulle persone ed il sequestro – quindi la conservazione – dei risultati di questi accertamenti, ed il secondo nel sottolineare l’obbligo di annotare secondo le modalità ritenute idonee tutte le attività svolte, comprese quelle dirette alla individuazione delle fonti di prova, sostanzialmente lasciano la più completa discrezionalità operativa all’agente, obbligandolo al solo verbalizzare quanto abbia ritenuto opportuno fare.
E qui chiedo, quando mai abbiamo avuto problemi nel chiedere e verbalizzare il ritiro di materiale audiovisivo da terzi? Pensiamo ad una telecamera di sorveglianza per ricostruire un incidente o rilevare movimenti sospetti? Mai, giusto? Un verbale di richiesta del materiale, uno di acquisizione con la descrizione del supporto usato – sia esso una penna usb o un dvd – e nessuno di noi ha mai pensato di star commettendo un qualche tipo di reato o mancanza, sebbene per forza di cose in quel materiale, oltre al nostro sospetto o al nostro incidente, si vedessero anche persone intente a passeggiare o a bere un caffè al bar di fronte: anzi, tanto meglio, abbiamo nelle immagini anche la posizione della persona informata sentita con atto separato.
E allora, se si indossa un sistema di ripresa, visibile, ricordando magari di menzionare il fatto di indossarlo nell’iniziare l’intervento o la ripresa, ed in seguito si scarica – con verbale di acquisizione – il materiale ripreso in un dvd da allegare alla CNR piuttosto che al verbale amministrativo – pensiamo alla ispezione di un locale pubblico – dove vediamo questo problema, come giustifichiamo questo timore?
Chiaro che se un agente riprende uno che lo insulta e/o aggredisce, mette il video su instagram per farsi dire bravo e poi lo stesso video lo manda in Procura, forse qualcosa da rivedere c’è, ma se il video diventa una fonte di prova o viene semplicemente eliminato quando inutile, dove sarebbe la violazione disciplinare, penale o anche solo deontologica?
Qualcuno viene a parlare della fantomatica “privacy”, quella cosa che viene violata quando si diffonde materiale altrui senza consenso, che, francamente, non è certo il caso di un intervento di polizia: fortunatamente è proprio quella dottrina che tanto temiamo a venirci incontro con una sentenza della Cassazione (la nr. 18908 del 13.05.2011), nella quale è chiarito che le libere registrazioni (audio e video) delle conversazioni tra presenti è lecita, purché non le si diffonda per scopi diversi dalla tutela di un diritto proprio o altrui, in quanto le registrazioni non sono le intercettazioni, che necessitano invece di apposita autorizzazione da parte di un Giudice con tanto di provvedimento motivato. Quello che rimane vietato è invece la diffusione del materiale ripreso, che è lecita solo in due condizioni: che vi sia il consenso della persona videoregistrata o che vi sia la necessità di tutelare un proprio o altrui diritto. E qui si torna al tizio che si fa il caffè al bar e deve farsene una ragione se appare in un video dove l’interesse principale è dato dal pedone investito sulle strisce.
l ‘Autorità garante per la protezione dei dati personali si è invece espressa nel luglio 2014 ritenendo legittimo l’uso delle bodycam per le finalità connesse all’Ordine od alla Sicurezza pubblica o per prevenzione, accertamento e repressione di reati nell’immediatezza del fatto, a condizione che le immagini riprese “siano conservate per il solo tempo necessario al perseguimento delle finalità sottese al trattamento e che, al termine, siano cancellate” e senza che possano confluire in archivi generici utilizzabili per altri scopi.
Più recentemente Il DPR 15/2018, entrato in vigore il 29.03.2018, nel normare i trattamenti di dati effettuati per finalità di polizia, all’art. 22 c.1 recita “L’utilizzo di sistemi di videosorveglianza e’ consentito ove necessario per le finalita’ di polizia di cui all’articolo 3 e a condizione che non comporti un’ingerenza ingiustificata nei diritti e nelle libertà fondamentali delle persone interessate”; al successivo art. 23 c.1 “L’utilizzo di sistemi di ripresa fotografica, video e audio per le finalita’ di polizia di cui all’articolo 3, e’ consentito ove necessario per documentare: una specifica attivita’ preventiva o repressiva di fatti di reato, situazioni dalle quali possano derivare minacce per l’ordine e la sicurezza pubblica o un pericolo per la vita e l’incolumita’ dell’operatore, o specifiche attivita’ poste in essere durante il servizio che siano espressione di poteri autoritativi degli organi, uffici e comandi di polizia.”
Il problema non è quindi nell’acquisizione e nell’utilizzo in sede giudiziale del materiale, quanto del suo mantenimento e della sua eventuale dispersione: un’ Amministrazione che ne facesse una dotazione di servizio sarà tenuta a dotarsi di un Regolamento, così come stabilito da un successivo provvedimento – il 362 del 2018 – nel quale il Garante ha sottolineato la necessità per la Pubblica Amministrazione e le Aziende di stabilire criteri per l’attivazione e selezionare personale specifico – diverso da chi ne fa uso sul campo – addetto alla visualizzazione e alla gestione degli archivi del materiale tanto delle telecamere di videosorveglianza che di eventuali body cam in uso agli operatori (il contendere era dato dalle Guardie della società ferroviaria Trenord che facevano appunto uso di body cam a bordo treno).
A conclusione dei dubbi giuridici, sottolineiamo una recente ricerca, sviluppata direttamente dall’U.S. Department of Justice Office of Community Oriented Policing Services – l’ufficio relazioni pubbliche dell’FBI in sostanza- che mette in evidenza la consistente riduzione dei casi di denuncia da parte dei cittadini per comportamenti scorretti o violenti da parte degli operatori di polizia.
I risultati hanno evidenziato che le denunce a carico degli agenti per il loro operato si siano ridotte in alcuni comandi di oltre il 40% e che l’uso della forza fisica per la risoluzione di interventi “complessi” si è ridotta in alcuni casi anche del 50%: questo aspetto viene visto come si modifichi sia il modo di operare degli agenti, il comportamento che i cittadini hanno nei loro confronti, sapendo di essere video-registrati. In buona sostanza entrambi sono portati a mantenere un comportamento corretto, equilibrato e il più possibile rispettoso delle norme, cosa che, da professionisti come devono essere gli operatori di Polizia nel 2020, ci si aspetta anche senza essere ripresi.
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