riflessioni

Diario dell’Italia Arancione: il giro di boa della quarantena, cosa stiamo diventando?

E’ venerdì 17, siamo in piena pandemia, ci sono evidenti segnali di crisi economica e di tensioni sociali, le fonti mediche continuano a parlare di distanziamento sociale prospettandoci un futuro che va ben oltre l’innaturalità di una eventuale morte per malattia.

Ci starebbe berci sopra, ma non ho un goccio di vino, birra o whiskey in casa. Peccato. 

Non potendomi ubriacare tanto vale dare ruota libera ai pensieri: almeno lasciandoli liberi forse mi passerà un minimo di mal di testa.

Partiamo dalla nota storica: da oggi non siamo più in quarantena. Siamo in qualcos’altro. Già prima ritenevo inadatto il termine “quarantena”: erano 40 giorni – basati su ragionamenti più filosofici e religiosi che scientifici – durante i quali nel medioevo e nel rinascimento venivano chiusi o allontanati dalla società coloro che erano infetti o si pensava lo fossero. Quindi equipaggi di navi con appestati a bordo, famigliari di persone malate ed a volte intere città, ma, come già detto, era la città ad essere chiusa, non le singole persone, salvo fossero appunto malate: mai si era vista una simile serrata delle attività, un simile coprifuoco perdurante nelle 24 ore, un documento per giustificare di camminare. C’è da dire che all’epoca, se i quarantenati uscivano, non erano previste sanzioni, ma una balestrata sui denti.

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1485, danza macabra. 2020: chi sono i vivi, chi sono i morti?

La nostra “quarantena”, che fino ad oggi ha interessato tutta la società, cancellandone non solo le – fragili- basi economiche ma anche le più consolidate abitudini sociali – la stretta di mano è attestata da 3-4mila anni – non è più tale, si avvia, anzi, a diventare “cinquantena”, se non “sessantena”.

Ormai anche “distanziamento sociale” sembra essere una presa in giro, un aggirare il problema, un po’ come quando dici “non amo molto la panna” per dire che la panna ti fa davvero schifo, ecco, diciamolo: la panna fa schifo. E questo non è “distanziamento sociale”. Lockdown rende più l’idea, e non solo perchè è in inglese e fa figo, ha anche il suono cattivo necessario a rendere l’idea. Teniamolo bene a mente, lockdown ,perchè se fino ad oggi il termine per indicare un isolamento forzato, doloroso, quasi inaccettabile era “quarantena”, da domani il nuovo termine di paragone sarà “lockdown”.  

E noi? Che stanno facendo le Guardie, con il lockdown? Ve ne siete accorti, vero, che il tempo degli eroi, degli inni al balcone, è passato? La vedete la proliferazione di video di attacco ed accusa verso i controlli? Lo stiamo vedendo, ci stiamo tutti rendendo conto che stiamo rischiando di diventare qualcosa che non siamo nati per essere? Non è bello vedere certi video, non è bello leggere certi commenti, non è bello avere dubbi su chi porta la tua o una molto simile divisa.

Le Guardie, che si chiamino Sceriffo, Poliziotto, Mossos, Carabiniere, sono, devono essere punti di riferimento della popolazione, non esecutori di un mero controllo: questo lo si era quando Guardia era sinonimo di qualcosa di oppressivo.

NON DOBBIAMO, NON VOGLIAMO, NON POSSIAMO. Lo disse Pio VII a Napoleone quando gli venne ordinata la resa dello Stato Pontificio. Noi dobbiamo dirlo a chi, indipendentemente dal ruolo, dai termini, dal media utilizzato, ci vuole trasformare nella psicopolizia del lockdown.

Siamo meglio di sanzionatori di riders. Siamo meglio di misuratori di metri tra genitori e figli. Siamo meglio di inquisitori a caccia di confessioni di chi torna da lavoro dopo essersi attardato a fare benzina o a lavare l’auto.

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La folla acclama il “Grande Fratello” nella versione cinematografica di 1984 di Orwell. Oggi lo faremmo di fronte un PC, in videoconferenza. A questo nemmeno Orwell era arrivato.

Contiamo i morti, è vero, le ambulanze, le perdite. Anche oggi dobbiamo piangere un collega, Andrea Gastaldo, vicecomandante della Polizia Locale di Tortona. Ieri abbiamo contato oltre 500 morti, a breve sapremo quanti ne conteremo oggi. Ci sono, esistono, sono persone di cui avere rispetto e per le quali chiedere giustizia. Ma siamo sicuri, che la loro giustizia sia la sanzione cieca e totale di qualunque uscita sia diversa da quella che ognuno di noi può ritenere o meno necessaria? Siamo sicuri che sia un giusto modo di onorare i morti e proteggere i vivi, trasformare la vita in una morte? In una malattia fatta di autocertificazioni, terrore ad avere una persona vicina, parole che diventano urla perchè pronunciate a distanza di sicurezza, contatti che diventano emoticon? Perfino app che ci dicono quanto possiamo allontanarci da casa, che dicono ad altri di quanto ci siamo allontanati e di quanto siamo passati vicini?

Forse, un giorno, qualcuno avrà il coraggio di dire che la morte per malattia è più naturale di una vita come se si fosse malati. 

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le terribili immagini delle autocolonne cariche di bare ci hanno convinti della gravità della situazione. Ora dobbiamo riprenderla in mano. 

Oggi, invece, dobbiamo leggere di “fasi due” con ingressi scaglionati dei bambini nei parchi, di guardie che contino le persone nelle vetture, di ombrelloni separati da  pannelli di plexiglass, di orari di lavoro pensati in modo che siano ridotti il più possibile gli incontri tra le persone. Di come faremo a concepire un tempo libero che non sia in casa, non si parla. Si preferisce dire che la rete ci permetterà di stare connessi. Spero non si sottintenda che prenderà i social prenderanno il posto della socialità. Come ci ha ridotti il terrore di un virus, non lo aveva fatto nessuno. Cosa ci fa pensare, il terrore di un virus, non lo avevano pensato nemmeno alcuni dei più grandi dittatori del secolo scorso. Cosa ci farà accettare,purché a dirlo sia un medico invece che un politico, la paura di un virus?

Pensiamo davvero che la società possa reggere a lungo alle tensioni che si stanno creando? Pensiamo davvero che la gente temi ancora più il contagio rispetto al lockdown? Vogliamo dimostrare che siamo migliori di quel ritratto punitivo e minaccioso che sempre più spesso ci sta venendo fatto nelle pagine social – ironia, proprio gli stessi social con cui si veicolano notizie che fanno accettare il lockdown stesso – e che le Guardie sono soprattutto coloro che aiutano e soccorrono?  

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Pare ci aspetti un mondo di mascherine, sperando non si arrivi a vederle diventare maschere.

Ricordate che NOI siamo l’immagine dei nostri governanti, la loro mano operativa, ed è la mano quella che fa capire se la lezione impartita oralmente viene concretizzata con una carezza, una pacca di incoraggiamento o una sberla per incutere terrore.

Che mano vogliamo essere noi Guardie? La carezza, l’incoraggiamento, o la sberla?

Che immagine diamo delle attuali norme a tutela del paese? Quella di una situazione emergenziale eccezionale da cui uscire tutti assieme sostenendoci a vicenda, o una base per un mondo di sguardi lontani, povertà, plexiglass ed ingressi scaglionati sotto la minaccia di una sanzione? 

 

 

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