Ho avuto modo di leggere un libro estremamente interessante, dello storico Marco Salvador, dal titolo Processo a Rolandina: la storia vera di una transgender condannata al rogo nella Venezia del XIV secolo, casa editrice Fernandel. Il testo segue, citando direttamente gli atti processuali dell’epoca, le indagini ed il processo contro una giovane trans ermafrodita, Rolandina di Roncaglia, venditrice di uova e prostituta nella Venezia della metà del ‘300, con ancora l’ombra della Peste Nera sulla vita quotidiana ed un carico di paure, superstizioni e dogmi rivitalizzato proprio dalla enorme portata della pandemia e che ha trasformato cose prima tollerate – pur se illecite – a peccati da estirpare. Premetto che l’intero processo è di tipo civile, non esiste inquisizione, vescovi fanatici – magistrati sì – o strane figure a metà tra il romanzo e la storia.
Da Guardia, la prima cosa che mi ha colpito è come vengono condotte le indagini su Rolandina: parte tutto dalla denuncia di un “cittadino indignato”, che premette essere “uomo di buona fama e discreta sostanza”, in parole povere il “cittadino che paga le tasse” che spesso invia esposti ridicoli ancora oggi. Ed è infatti ridicola la sua denuncia, ovvero che una prostituta si è fatta praticare sesso anale con l’inganno. E i magistrati che ricevono la denuncia, i Signori della Notte – una delle tantissime magistrature di Giustizia della Serenissima – se ne ridono pure, salvo uno di loro, un po’ più fanatico – forse per la perdita della famiglia nella pestilenza, ricorda un altro Magistrato – che pretende si indaghi a fondo.
Dalle prime pagine già si vedono diverse autorità competenti – Signori della Notte, Quarantia, Consiglio dei Dieci, Signori del Proprio – passarsi quella che viene letta come una denuncia assurda ed una indagine ridicola, compresa di poliziotti in gamba – un tale Giacomo Negro che passa letteralmente l’intero libro a correre dietro a miriadi di sospetti – e poliziotti scemi – con tanto di descrizione climatica e della qualità del cibo dei ristoranti in un rapporto – diatribe personali tra Magistrati, conflitti di competenze tra istituzioni, sprazzi di umanità, spaccati di società dell’epoca, irruzioni in bordelli clandestini ed interrogatori a ruffiani e prostitute nei quali, pezzo dopo pezzo, viene fuori quella che sembra essere una realtà per l’epoca assurda: la detta Rolandina, pur se a detta di molti femmina, parrebbe essere nata maschio.
Seguono dettagli di interesse notevole, come l’ipotesi di una richiesta di estradizione – nel 1353! – fino a quando Rolandina viene arrestata dopo qualche mese di latitanza e condotta di fronte un medico davanti al quale, spogliata, non riesce a nascondere i genitali maschili, che pur aveva nascosto nei bagni pubblici alle altre prostitute veneziane (coprendosi con una fascia, cosa all’epoca non rara anche durante i bagni). E’ interessante notare come diversi protagonisti della vicenda non nascondano una sorta di pietà per Rolandina, ed è lo stesso medico a sentenziare che la ritiene più “un infelice cui si debba avere pietà” che una “qualcosa” da doversi punire. Intendiamoci bene, per tutto il testo si parla di lei come se fosse un essere strano, inumano, sbagliato, e in nessun momento si legge nei testimoni, indipendentemente dal rango sociale, un qualche sentimento “moderno” verso l’ermafroditismo o l’omosessualità, ed anche quelli più “buoni”, in questa galleria di ritratti del XIVth secolo, sono a metà tra l’ipocrita ed il disinteressato, troppo impegnati a stare attenti che la loro condotta nel gestire il caso li metta in cattiva luce presso magistrati a loro superiori.
Tuttavia uno sprazzo di umanità traspare e sembra quasi che Rolandina – scoperta ora essere Rolandino – potrebbe cavarsela con l’esilio, fino a quando le indagini del già citato “poliziotto bravo” portano il sospetto che tra i clienti della Rolandina prostituta ci fossero nobili ed alte cariche istituzionali, questo non per la sua fama quanto proprio per la sua “stranezza” – “non trovo credibile che un siffatto numero di uomini sia cascato in tali e semplici trucchi usati per apparire femmina” – scrive uno dei Magistrati – “credo anzi che molti la cercassero proprio per la sua stranezza”. Lo scandalo che poteva uscirne leva ogni speranza a Rolandina, che viene bruciata non tanto per quello che ha fatto, e nemmeno per quello che è, ma per quello che avrebbe potuto dire (pur se sotto tortura si era rifiutata di fare nomi di clienti particolari).
Quali riflessioni ci può portare questa tragica storia? Perché, attenzione, è molto facile per il me Guardia immedesimarsi nel “poliziotto bravo” del libro, quello che, incaricato dai suoi superiori, scopre un giro di prostituzione clandestino ed evasione fiscale mentre indaga su Rolandina, mette assieme testimonianze, si infiltra in ambienti malfamati. attraversa Venezia in lungo e in largo partendo dalle più malfamate osterie fino ad arrivare al coinvolgimento dei nobili.
Se Rolandina viene scoperta e condannata, è grazie a queste indagini. Ed ora mi dico, oggi, certamente, non si penserebbe nemmeno di condannare al rogo chicchessia, eppure la questione è seria: la Polizia è serva della Giustizia o della Legge? E quando è la Legge ad essere sbagliata, la Polizia quali colpe ha nel portare i “colpevoli” innanzi tribunali che non cercano la giustizia, ma l’asservimento al sistema dominante nel momento in cui si emette la sentenza? Peraltro magari in modo ipocrita ed egoistico, per celare che l’aristocrazia è la prima ad affondare in quello che è giuridicamente condannato, e, come nel caso di Rolandina, andando a colpire l’ultimo anello di una catena di contraddizioni , pregiudizi e odio?
E noi Guardie, per cosa siamo tali? Molti di noi, per sbarcare il lunario, molti di noi sono semplicemente disinteressati a tutto questo, sono “buoni impiegati comunali” che ritengono verbalizzare, indagare, sequestrare e tutto il resto alla stregua di mettere timbri su un atto d’anagrafe. Molti altri hanno il piacere dell’indagine, dello scoprire, del mettere le cose in chiaro. Tanti credono fermamente nella Giustizia, altrettanti nel “sistema”.
Ci siamo mai soffermati a chiederci, prima di un qualsiasi atto, sicuramente legale, se questi era “giusto”? Ci siamo mai posti il dubbio se un “trasgressore” fosse anche “ingiusto”? La differenza tra “trasgredire” una legge ed avere un comportamento ingiusto è enorme. Abbiamo mai provato compassione per qualcuno su cui ci siamo trovati ad agire, e parlo anche per cose “leggere” o “inezie” che magari per noi erano una firma ma per lui migliaia di euro di debiti con lo Stato? Ci siamo mai fermati a pensare se una nostra firma in un atto fosse “giusta” oltre che “legale”? Se si potesse risolvere in altro modo, magari più complesso, più fastidioso, che ci esponeva forse a qualche rischio agli occhi di questa società ipocrita e malata di cattiveria con cui ci confrontiamo ogni giorno?
E soprattutto, ci siamo chiesti se la Giustizia non è soltanto una vuota parola, un’illusione, mentre ogni cosa viene ridotta ad un atto amministrativo, una pratica burocratica, un “trasgressore”, una “competenza”, una “buona convenienza”?
Ci siamo mai interrogati su cosa faremmo se un giorno per legge ci venisse chiesto di commettere atti vergognosi, colpire persone colpevoli di essere diverse da quello che la mentalità comune vuole considerare “normali”, ghettizzare, rinchiudere, sottomettere? Cancellare diritti nel nome di poteri? Chiudere gli occhi su travi per cercare pagliuzze? Essere sgherri e non uomini giusti? Ci piacerebbe? Lo accetteremmo per non perdere il briciolo di potere e posizione che ci da la nostra divisa? Resteremmo fedeli a qualcosa di inumano, razzista, dittatoriale solo per continuare a chiamarci “poliziotti”? Accetteremmo tutto? Ci piacerebbe, perfino?!
Chiudo con due citazioni musicali, la prima riassume bene i sentimenti di alcuni personaggi del libro e il loro chiudere gli occhi di fronte l’ingiustizia della sentenza omicida nei confronti di Rolandina
Né il cuore degli inglesi né lo scettro del re
Geordie potran salvare,
anche se piangeran con te
la legge non può cambiare.
La seconda, invece, che rappresenta quello che io intendo per Giustizia, un valore superiore a qualsiasi legge, patria, stato e potere ci possa essere, una parola il cui significato è portare avanti ogni azione col solo scopo di migliorare ciò che si ha davanti.
Il “potere” è l’immondizia della storia degli umani
e, anche se siamo soltanto due romantici rottami,
sputeremo il cuore in faccia all’ingiustizia giorno e notte:
siamo i “Grandi della Mancha”,
Sancho Panza… e Don Chisciotte !
Ed in tutto questo mi chiedo, se il modo migliore per rendere onore a tale parola sia indossare la divisa delle Guardie Cittadine.
E ne ho molti dubbi.
Bellissima riflessione.
Spesso me lo chiedo anche io….e onestamente mi preoccupa la risposta che mi do’…….
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Ultimamente preoccupa molto pure me.
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