Non bastava il Prefetto di Brescia, che per primo ha diramato una circolare attuativa relativa l’accesso allo SdI da parte delle Polizie Locali a dir poco umiliante, con limiti restrittivi alle notizie ottenibili sulle persone fermate, con la precisa dicitura da dare come risposta dettata parola per parole alle sale operative Statali, con la raccomandazione di “assicurarsi di con chi si sta parlando” – come se fino ad oggi ci dessero informazioni riservate a casaccio e come se noi le chiedessimo per lo sfizio di farlo – e con la incomprensibile indicazione di inviare, in caso di esito positivo, una pattuglia della forze “statuali” a portare avanti l’intervento, come fossimo incapaci o come avessimo limitazioni procedurali rispetto i “principi e superiori” Corpi Statali.

Non bastava la quotidiana guerra portata avanti da giornalisti degni al massimo di essere chiamati imbrattacarte, con continue notizie e polemiche montate sul nulla, notizie false o ingigantite, trattate in modo da colpire ed insultare il nostro ruolo e la nostra professionalità, con tanto di sfottò sui servizi a tutela del patrimonio a Roma o finti allarmismi relativi “mitra” che sarebbero stati dati in dotazione alla Polizia Locale di un paese in provincia di Padova.
Non bastava il rigetto sociale cui siamo oggetto, fomentato da ogni parte politica e mediatica, noi, vittime dell’apartheid di Stato, del Mobbing istituzionalizzato che ha messo all’angolo degli operatori di Polizia relegandoli a valvola di sfogo e capro espiatorio della bassezza civica del popolo italiano.
No. Non bastava questo.
Doveva arrivare anche il Presidente della Repubblica, la massima carica istituzionale, politica, la personificazione dello Stato, a delegittimarci. A chiarire, nei suoi appunti relativi l’approvazione del decreto sicurezza bis – appunti che peraltro in massima parte condivido – che l’inasprimento delle pene per i reati contro i Pubblici Ufficiali non andrò a colpire solo chi insulta ed aggredisce gli uomini e le donne delle Polizie dello Stato, ma anche “una moltitudine di altri soggetti […] tra cui Vigili Urbani, Controllori e Postini”.
Scrive il Presidente:
“Non posso omettere di rilevare che questa norma – assente nel decreto legge del governo – non riguarda soltanto gli appartenenti alle forze dell’ordine ma include un ampio numero di funzionari pubblici, statali, regionali, provinciali, comunali nonché soggetti privati che svolgono pubbliche funzioni, rientranti in varie e articolate categorie, tutti qualificati – secondo la giurisprudenza – pubblici ufficiali, sempre o in determinate circostanze. Tra questi i vigili urbani e gli addetti alla viabilità, i dipendenti dell’Agenzia delle entrate, gli impiegati degli uffici provinciali del lavoro addetti alle graduatorie del collocamento obbligatorio, gli ufficiali giudiziari, i controllori dei biglietti di Trenitalia, i controllori dei mezzi pubblici comunali, i titolari di delegazione dell’ACI allo sportello telematico, i direttori di ufficio postale, gli insegnanti delle scuole, le guardie ecologiche regionali, i dirigenti di uffici tecnici comunali, i parlamentari”.
Già.
Francamente per un momento ho pensato di chiudere tutto. Blog, sito, pagina. Iniziare a cercarmi subito un altro lavoro e mandare al diavolo il resto. Perché non concepisco, no, non potevo nemmeno immaginare, che dalla massima carica Istituzionale potesse arrivare una mostruosità del genere. Insultati, diffamati, “messi al nostro posto” perfino dal Presidente.
Che evidentemente non sa, o forse qualcuno ha voluto fargli scordare, che abbiamo le medesime qualifiche ed i medesimi obblighi delle Forze di Polizia, che siamo come loro a disposizione della Magistratura, che siamo inseriti nei servizi anti terrorismo ed a tutela della sicurezza di scuole, eventi, strade, spiagge e luoghi di culto.
Non basta non avere le medesime dotazioni strumentali, le medesime tutele pensionistiche e giuridiche, la medesima indipendenza dalla politica e la medesima struttura piramidale delle altre Forze, dobbiamo per questo essere attaccati, sminuiti, delegittimati, indegni perfino di essere chiamati col nostro nome dai più alti livelli istituzionali.
Tra l’altro sarebbe grave pure non ci fosse la chiara idea che noi si sia pari a controllori e guardie ambientali volontarie – nulla togliere al loro incarico, anzi, ma le funzioni sono evidentemente diverse – visto che sostanzialmente si sta cercando di dire che alla fin fine offendere un non appartenente alle Forze di Polizia non è poi questo grosso danno.
Ma seriamente, quel Marzo del 1986, perchè l’avete fatta una legge 65? Se era tanto difficile riconoscere la necessità di una Polizia Locale, perchè l’avete fatto? Perché?
Un collega ha scelto di condividere la sua amarezza con A me le Guardie: ha chiesto espressamente che il suo testo non diventi la base per una sorta di mail bomb al sito della Presidenza della Repubblica.
Rispetto la sua volontà e riporto di seguito la sua lettera, che mi trova allineato in quasi tutto, tranne forse che nel risentimento.
Quello del collega è forte.
Il mio è totale.
Non sono mai stato così schifato e ferito, non sono mai stato così convinto che dietro tutto questo odio ci sia qualcosa di più che la semplice ripicca per il “vigilotto che fa le multe”. Siamo l’unica categoria contro la quale è permessa ogni nefandezza fisica e dialettica senza che nessuno si senta in dovere di prendere le nostre difese. Siamo invisi come le suffragette nell’Inghilterra vittoriana e gli afroamericani nell’Alabama di metà secolo scorso. E nonostante tutto quotidianamente ricevo e pubblico notizie di interventi a tutela di quella stessa società che incessantemente insiste nello sputarci addosso nemmeno il suo odio, quanto proprio il suo totale fastidio che gli è rappresentato dalla nostra esistenza: continuare a “servire e proteggere” è davvero l’unica cosa che ci è rimasta, alla faccia di tutti.
Un fastidio che permette al Presidente della Repubblica di sottolineare nero su bianco che, in fondo, insultare un “Vigile Urbano” può essere meno grave e più “tenue” di insultare un Poliziotto, un Carabiniere, un Penitenziario, un Finanziere.
Quasi quasi mando il Curriculum alle ferrovie: almeno, non avendo armi, qualifiche di polizia, strani veicoli a luci blu e obbligo di riferire alla Magistratura, non potrò risentirmi se qualcuno – o il Presidente – dirà che sono da inserire in un insieme diverso di quello delle Forze di Polizia.

Di seguito la lettera del collega, più moderato di me, più controllato, altrettanto deluso ma forse meno schifato e tradito:
Signor presidente, comincio con il presentarmi. Mi chiamo *omissis* e dal 2008 mi onoro di fare parte della Polizia Locale di Milano, così come mio padre prima di me. Svolgo il mio lavoro con passione, ben conscio del mio ruolo di garante della sicurezza pubblica e del vivere civile.
Credo nelle Istituzioni repubblicane (diversamente avrei certamente scelto un diverso mestiere) e ammiro il modo in cui Lei, in questo momento di crisi, riesca a rappresentarle. Per questo, mi ha particolarmente ferito leggere i suoi rilievi al decreto sicurezza. Non nel merito. Nel merito mi trova d’accordo, anche io ritengo sproporzionata una pena minima di sei mesi a fronte allo sproloquio, per quanto rivolto ad un rappresentate delle istituzioni.
Non è certo con la penalizzazione di determinati comportamenti che si restituirà l’amore ed il rispetto per le istituzioni. Simili derive ricordano più un rapporto tra queste e il cittadino appartenente ad un epoca buia della storia italiana. Neppure troppo lontana, peraltro. L’avere escluso dal novero dei pubblici ufficiali interessati i magistrati, poi, la dice lunga su coloro che una simile legge hanno approvato.
Quello che mi ha ferito è il fatto che Lei, che lo stato rappresenta, abbia nelle sue osservazioni tenuto a rimarcare come, a differenza di polizia e carabinieri, i vigili urbani rientrino nel novero dei “pubblici ufficiali” accanto a figure amministrative che poco hanno a che fare con la sicurezza pubblica, e che lei sembrerebbe giudicare loro più vicine. In molti, credo, avranno già cercato di farle rilevare il contrario, mostrandole come una costante giurisprudenza e la stessa Commissione Europea (che ha appoggiato la richiesta di equiparazione alle altre forze di Polizia in termini di formazione e tutele), mettano me e i miei colleghi al servizio dello Stato nella stessa misura e maniera di un qualsiasi appartenente alle forze di Polizia.
Vi è infatti, nelle medesime situazioni, un’assoluta parità di obblighi legislativi. In sostanza, nella mia attività professionale (lavoro in abiti civili e mi occupo del contrasto ai reati contro il patrimonio) mi espongo agli stessi rischi che hanno portato alla morte del Vice Brigadiere Cerciello Rega, che proprio per questo mi ha particolarmente colpito.
Badi bene, sono orgoglioso ed onorato di assumermi tali obblighi e rischi al servizio del cittadino. Ritengo sia da parte mia doveroso. Sarebbe vile e ridicolo se innanzi a un furto, una rapina, una violenza, mi girassi semplicemente dall’altra parte, senza intervenire. Non sarei degno di indossare la mia uniforme. Io e miei colleghi, però, restiamo non visti da quello Stato che serviamo.
Così come Lei, che questo Stato rappresenta, ha dimostrato con le sue parole, paragonando il mio servizio a quello reso da un controllore dei biglietti sui mezzi di pubblico trasporto.
Denota incuria nei confronti di chi mette quotidianamente in gioco la propria incolumità e la propria vita al servizio del cittadino. Fa sentire disconosciuti, traditi, abbandonati.
Avendo terminato la saluto Presidente, nella speranza di averle in qualche modo aperto gli occhi su qualcosa che, forse, preso da ben altre più importanti questioni, aveva omesso di considerare.
