Carabinieri · Cronaca

Ci avete colpiti tutti, ma uno lo avete ammazzato, e non pagherete mai abbastanza

Sette coltellate. Chi dice otto. Per 100 euro. Uno scippo con conseguente estorsione per restituire il cellulare alla vittima, che invece chiama i Carabinieri. Si chiama “cavallo di ritorno” ed è una recente tecnica criminale che consiste appunto nel chiedere denaro contate per ottenere la restituzione di un bene rubato in precedenza. Cento euro, questa volta, la richiesta.

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La vittima, il Brigadiere Mario Cerciello Rega

Per cento euro una Guardia dello Stato è morta. Per cento euro hanno colpito più volte un Carabiniere, lasciandolo a terra agonizzante. Cento euro per i quali si sarebbero fatti probabilmente qualche ora in caserma prima di essere rilasciati con la consueta “denuncia a piede libero”. Coltellate che hanno strappato alla vita un giovane di 35 anni, uno che indossava una divisa come me, che stava effettuando un intervento che può succedere a chiunque.

Gente che ammazza per cento euro. Gente che trova coltelli ovunque, nelle vetrine dei tabaccai, nei negozi di souvenir, per meno di 20 euro si possono acquistare lame a scatto, lame seghettate, lame a farfalla, lame con manici in legno, lame che è vietato portare, ma che basta celare dentro una piega sui pantaloni. Lame che ormai si trovano addosso a chiunque in qualsiasi occasione.

Lame che hanno colpito tutti noi, perchè ognuno di noi poteva essere Mario Cerciello Rega, lame che purtroppo lo hanno ucciso mentre  tutti noi restiamo increduli di fronte la semplicità con cui è stato fatto. Lame che devono entrare nella testa, prima che nella carne, di tutti gli operatori di polizia. Dobbiamo capirlo, dobbiamo accettarlo: l’intervento semplice, la routine, non esistono più. Chiunque, anche quello che fa la truffa dello specchietto, l’ubriaco al volante, il guappo che impenna la moto, lo scippatore, può con 15 euro trovare una lama ed usarla contro di noi.

E non possiamo dire, ancora una volta “ci avete uccisi tutti” o “non ci avete fatto nulla”. Purtroppo non è così. Non ci hanno uccisi tutti, no, ma uno di noi si. In un modo che davvero è troppo allucinante per accettarlo. Si guardino allo specchio coloro che, nel nome del risparmio, nel nome dell’ideologia, nel nome di qualsiasi cosa ritengano più opportuno, da decenni, avendo i mezzi, i fondi e le motivazioni per dotare ogni Guardia di strumenti con cui essere più tutelata nel suo primo dovere, quello di tornare a casa vivo, usano questi fondi per passerelle, slogan, pubblicità e mille altre attività che forse permettono tante parole di cordoglio e vicinanza, ma che non impediscono che ogni giorno vi siano aggressioni agli uomini in divisa. 

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le volanti della Polizia sfilano sotto il Comando Generale dell’Arma in onore alla vittima.

Aggressioni che con un giubbino antitaglio ed un taser ad operatore, nonché regole di ingaggio più sicure e certe, con meno spazio ideologico a chi ci odia e punta il dito addosso attendendo il momento per disegnarci come violenti, forse porterebbero a non piangere  uomini di 35 anni, accoltellati otto volte, per 100 miserabili euro.

La cronaca ci dice che gli assassini sono già stati presi: non è abbastanza, non ci soddisfa, non ci sta bene. Non serve a nulla un assassino catturato dopo aver spezzato una vita, quello che serve è essere certi di poter neutralizzare un delinquente prima che, spezzandola, diventi un assassino. 

Di avere un omicida in carcere in più, ci interessa poco, perchè ogni omicida in galera, significa che fuori è morta una persona.

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Una delle prime immagini di A me le Guardie, con  tutti coloro che condividono una strada sempre più pericolosa. 

Anche oggi, un nastro nero alla divisa, in onore di una Guardia ammazzata, che non doveva morire, che si poteva evitare morisse, che nessuna condanna cambierà il fatto che è morta. 

 

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