Storie di Guardie

Guardie in trasferta: il racconto di un poliziotto triestino in pattuglia con il NYPD

Una delle più grandi soddisfazioni che mi ha dato A me le Guardie è stata la possibilità di incontrare o conoscere colleghi di altissimo valore umano e professionale, persone grazie alle quali sono nate rubriche importanti quali Revolution e Storie di Guardie. L’articolo di oggi infatti parte proprio dal protagonista di una delle “Storie”, il collega Fulvio Musso di Trieste, che aveva già condiviso con me la sua esperienza di Guardia Cittadina ed Infermiere del 118 in questo articolo.
Commentando assieme un intervento di due colleghi del New York Police Department – il soccorso ad una persona in overdose – è saltato fuori che Fulvio non solo conosceva i poliziotti coinvolti, ma aveva avuto modo, nel lontano 2004, di fare da osservatore ad un loro turno di servizio: aveva 27 anni, già da 4 in forza alla Polizia Locale del capoluogo friulano, e si trovava a New York in viaggio di nozze.
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I colleghi del NYPD con cui FUlvio è uscito in pattuglia.
Al tempo NYPD aveva un programma che si chiamava “ride along- civilian observer program”. Faceva parte di una serie di iniziative atte ad avvicinare i cittadini alla polizia.
Ho scritto, e pur non essendo di New York ma essendo “una guardia” hanno acconsentito a farmi partecipare. Ho firmato una serie infinita di liberatorie, indossato un Gap e infine siamo andati. 2 ore di normale routinaria pattuglia. 
Il Ride Along Program è tutt’ora attivo per tutti i cittadini di New York e non escludo che se mai mi capitasse di fare una vacanza negli Stati Uniti potrei farmi prendere dalla stessa follia.
La mattina alle 8 mi presento al 51st precinct di Manhattan dopo aver preso accordi il giorno precedente a One Police Plaza, il comando del NYPD.
La mattina sono stato accolto dal sergente responsabile del distretto che mi ha presentato alcuni colleghi e fatto visitare la struttura. Ho poi firmato una serie di liberatorie, l’impegno a non acquisire foto, video e registrazioni di ogni natura e un documento sulle regole da seguire. Infine il sergente mi ha presentato ai due colleghi che mi avrebbero accompagnato nel mio “ride along”.
Prima di uscire indosso un corpetto anti proiettile (che loro all’epoca già indossavano di default sotto l’uniforme) con la scritta “observer” e finalmente usciamo.
Arrivati in parcheggio ci tocca una Chevy “impala” con fastidio estremo dei miei nuovi co equipper che non fanno segreto di preferire la “crown vic”.
Salgo dietro, nella cellula. Ottengo il permesso dei colleghi di scendere sugli interventi anziché rimanere in macchina come previsto dal regolamento  ‘cause a cop is a cop! Wherever you are”: un poliziotto è un poliziotto ovunque si trovi! 
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Una Chevrolet Impala del 2001 in livrea NYPD.
La zona di competenza della nostra “squad car” è piccolissima: 4 isolati di Manhattan, A New York, infatti, come in generale nel sistema di polizia americano, agenti a piedi o in auto sono assegnati ad una singola zona, molto ridotta, nella quale svolgere ogni attività di servizio e gestire gli interventi passati dalla centrale. Si parla davvero di piccolissime porzioni di territorio di pochi chilometri quadrati di una città immensa. 
Iniziamo il giro, velocità ridottissima, finestrini aperti, la gente saluta noi rispondiamo. Un breve pit stop per fare due chiacchiere con il “bellboy” (addetto ai bagagli) di un famoso hotel di lusso che ci racconta alcune news su dei tizi che frequentano l’isolato la sera, in un consolidato sistema di Polizia di Prossimità valorizzata come tale.
Arriva una chiamata, incidente stradale “only property damages”, solo danni alle cose. Un urto laterale per un cambio di corsia. Dichiarazioni oralmente rese dai conducenti erano discordanti. Entrambi affermavano che era stato l’altro a invadere la corsia. Pratica risolta con una contravvenzione a testa (il nostro 154 cds) perché “uno dei due mente di sicuro. Se non vogliono dirci la verità pagheranno entrambi”.
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La camicia del NYPD accanto la giacca di servizio triestina.
Dopo poco un’altra chiamata.
Allarme intrusione in un ufficio della zona. I due colleghi azionano le sirene e partiamo. Nel mentre uno dei due mi dice: “stai tranquillo. È Lilly, quella che fa le pulizie il mercoledì. Non ha mai imparato a disattivare correttamente l’allarme”.
Giunti sul posto salutiamo effettivamente Lilly e ce ne andiamo.
Ancora qualche chiacchiera, la radio gracchia nuovamente e il collega risponde con un “ten four”: ricevuto. 
Andiamo in assistenza ai paramedici del NYFD che intervengono per una sospetta morte in casa. I paramedici, da soli, non entrano. Aspettano la cavalleria. 
Entriamo, rimango defilato dietro i colleghi e davanti ai paramedici. 
“NYPD, open the door!”
Nessuna risposta.
Giù la porta. 
Dentro un uomo in difficoltà a terra. 
I paramedici intervengono, noi ce ne andiamo. Il nostro lavoro era finito.
Chiedo: ma adesso la porta? Come facciamo? 
I colleghi: “we are payed to open doors, not to repair doors”: siamo pagati per aprire le porte, non ripararle!
“Well done guys” ci salutano i paramedics. 
E così il mio tempo è scaduto. Rientriamo in distretto. Dono al sergente un mio crest e dei patch ai miei colleghi di pattuglia. E Mike, uno dei due, mi regala una sua camicia dell’uniforme. 
Ci salutiamo e me ne vado, certo di aver fatto una grande esperienza e di aver conosciuto persone in gamba.
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Fulvio in una foto d’archivio 

Cosa possiamo dire di un’esperienza simile, di una colleganza così forte che dovrebbe essere da esempio per tutti? Il lavoro delle Guardie Cittadine, lo vediamo dai piccoli interventi descritti nel racconto, è ovunque lo stesso, siamo tali e quali in ogni angolo del globo ed è ridicolo pensare che si possa essere qualcos’altro.

Le differenze sono nella nostra testa, e, purtroppo, nella testa bacata dei politicanti ,dei giornalisti, di una società malata di tifo che vuol aver diviso in serie calcistiche ogni cosa, ogni attività, ogni divisa.

Grazie a Fulvio per la nuova, interessantissima storia.

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