Mentre si attende che i lavori alla Commissione portino avanti un qualche tipo di proposta sulla riforma delle Guardie Cittadine, non riesco a fare a meno, ogni tanto, di pensare tra me e me “A quale prezzo?”.
Spesso abbiamo sottolineato l’evoluzione delle Polizie Municipali francesi, equipaggiate e formate in pochi anni ad attività ed interventi che per loro erano fantascienza – molto più che per noi – senza però soffermarci che tali innovazioni sono state applicate in seguito attentati ed assalti che sono costati la vita ad una decina di agenti – tra cui alcuni della municipale- e centinaia di civili. Discutevo con una Guardia dello Stato, nei giorni stessi, sul fatto che tali rischi, per ora, in Italia, sono limitati, non solo per la mai messa in discussione abilità dei nostri servizi di intelligence, ma anche perché nel nostro paese non vi è ancora una presenza massiva di quella seconda generazione cresciuta nei ghetti delle grandi metropoli d’oltralpe dove il fondamentalismo ha trovato terreno fertile.

Quello che invece sto vedendo essere ben fertile e preoccupante è invece una sorta di cattiveria diffusa, una cattiveria per la quale, ad esempio, è tollerabile che un mucchio di scalmanati minaccino di morte, linciaggio e stupro una donna ed una bambina legittime assegnatarie di un alloggio popolare in un contesto peraltro volto ad eliminare quei ghetti di illegalità che stavano diventando certi campi rom smistandone gli ormai sgomberati abitanti in varie zone della città ove integrarsi con il resto della popolazione piuttosto che tornare a chiudersi in loro.
Una cattiveria per la quale sento sempre più spesso invocare la pena di morte o la tortura come punizione per i colpevoli di reati, per la quale vedo anche pagine istituzionali esibire persone come trofei e diffondere video di violenze quasi a voler sottolineare quanto gli arrestati siano persone abbiette e spregevoli, una caccia al mostro istituzionalizzata e una folla forcaiola aizzata da coloro che perfino nei film western normalmente si vedono affrontare, da soli, la massa di cittadini pronti al linciaggio del prigioniero.
Una cattiveria che rende normale ignorare la morte di decine se non centinaia di persone, esseri umani, che mentre affogano vengono coperti dai selfie autocelebrativi di chi dipinge come un successo il fatto che nessuno sia andato a recuperarli dai flutti.
Una cattiveria per la quale chi non gioisce o non partecipa all’esaltazione collettiva per i fatti di cui sopra viene assalito, denigrato, offeso, minacciato e sono convinto che se avessero modo sarebbe pure aggredito per aver osato annunciare la sua contrarietà a questo imbarbarimento della società.
Una cattiveria cui la onda sembra si voglia cavalcare per ottenere la riforma della nostra figura ed il riconoscimento di quelle tutele e garanzie che al momento ci sono negate a causa di una visione ridicola, fasulla ed indotta del nostro lavoro e della nostra professionalità.

Allora voglio ricordarmi che noi Guardie, Cittadine e non solo, tuteliamo qualcosa di più grande della singola persona, e, forse, qualcosa di più grande delle leggi stesse: noi tuteliamo la Giustizia e la Libertà. Giustizia che dovrebbe essere garantita dalle leggi e Libertà che dovrebbe essere insita nel sistema, ma attenzione che Libertà e Democrazia non sono sinonimi, e sopratutto Libertà non significa essere liberi di commettere azioni aberranti e Democrazia non significa dare parola a chi di quelle idee farebbe legge. Ci sono cose per le quali la Libertà e la Giustizia danno obbligo di essere fermamente contrarie e i loro rappresentanti hanno il dovere di reprimere, perché dare libertà a chi sfruttando il fatto di averla finirebbe per distruggerla e limitarla a tutti coloro che non sono come lui è il viatico per la dittatura.

E la dittatura non può essere considerata un’alternativa politica accettabile, tantomeno se essa si fonda sugli ideali della xenofobia, del terrore, dell’apartheid, della criminalizzazione della sessualità, del patriarcato, della superiorità razziale – espressa per nazionalità o per etnia che sia – dell’estremismo religioso, dello sciovinismo, dell’intolleranza, dell’ignoranza. O se pur non chiamandosi dittatura rende tutto questo i fondamenti di un’azione politica per spostare l’attenzione dell’opinione pubblica da quei temi sociali che invece di una nazione libera dovrebbero essere le basi: la cultura, l’uguaglianza, la libertà, rieccola qui, di esprimere se stesso senza timore di venire additato per quello che è invece che per quello che fa.
Siamo Guardie. La nostra responsabilità è enorme. La gente guarda a noi quando ha bisogno di aiuto, quando sente di aver subito un torto, quando sta male, quando non sa a chi chiedere una mano. Siamo uomini di legge, ma di più, siamo uomini del popolo. Quel popolo che non possiamo dividere in etnia, ideale politico, religioso, origine o esperienze di vita. Sono spesso intervenuto su persone di ogni etnia e opinione, sanzionando e reprimendo, certo, ma per quello che avevano fatto, non per quello che erano,e coloro cui ogni giorno tendo la mano sono persone che in quel momento necessitano di aiuto o anche solo di consiglio, indipendentemente da cosa siano state o abbiano fatto prima di aver chiesto soccorso.
Non è cosa su cui transigo facilmente, l’Uguaglianza, forse ancor meno che sulla Libertà: perché limitare la libertà è qualcosa che fa parte del nostro lavoro – quando lo si fa per salvare da una limitazione ingiusta la libertà di altri – ma l’Uguaglianza di dignità e trattamento invece non dovrebbe essere aspetto sul quale sollevare ombra di dubbio. Una persona, sia esso trasgressore, fermato, arrestato, civile, incivile, bianco, nero, cristiano, protestante, europeo o meno è un essere umano e va trattato come tale. Che non vuol dire non ammanettarlo, non bloccarlo, non fermarlo e “non” qualsiasi altra cosa che vi venga in mente nel momento in cui si rendesse necessario farlo.
E se il prezzo perché le Guardie Cittadine vengano riconosciute per quella Forza di Polizia che già sono nelle qualifiche e nelle attività è accettare che delle persone vengano discriminate, che la società torni divisa in classi sociali, che la cultura e la scienza siano messe in dubbio per alzata di mano o convenienza, che il capitale regni ancor più spietatamente di oggi e che tutti coloro che non accettino tale stato di cose siano repressi, additati, disumanizzati e per qualcuno dovrebbero essere perfino perseguitati, beh, a questo prezzo, un contratto ed un pensionamento diventano davvero poca cosa.
Noi siamo meglio di questa cattiveria, noi siamo meglio di queste idee, noi siamo le Guardie, la Legge, la Giustizia, e dovremmo essere il sinonimo, i garanti di quella Libertà nel nome della quale stiamo aprendo il fianco a scene ed idee dei momenti più cupi della nostra storia moderna. E non ho bisogno di citare Popper per dire che se qualcuno ritiene “un suo diritto” asserire che delle persone vadano stuprate, uccise, lasciate morire, questa sua presunzione non solo vada condannata, ma considerata un delitto contro la stessa umanità.
Noi Guardie Cittadine, in particolare, dovremmo capire in modo particolare cosa significhi essere additati, offesi, sfruttati, ignorati, derisi, vilipesi ed odiati per il solo colore, se non della nostra pelle, sicuramente della nostra divisa. E’ una cosa che succede ed è quella cosa contro cui è nato A me le Guardie. Pensateci bene e vedrete che quel “pregiudizio” sociale – le multe, i bastardi, i fannulloni, i vigliacchi di stato, gli infami – che tanto ci fa male è lo stesso – gli invasori, i froci, i buonisti, le zecche, i bamboccioni, i professoroni – che sta venendo subito da tanti altri, e che, lo ripeto, mi fa temere che gli ideali per i quali le Guardie sono state create stiano venendo meno.
Ed io, che sono convinto che noi Guardie si sia le fondamenta di una società Libera, Uguale e Giusta, sono certo che sapremo tutti cosa fare e come farlo se mai dovessero venire messi in dubbio i diritti fondamentali di altri esseri umani, altrimenti non saremmo più Guardie, ma sgherri, e gli sgherri, oltre che venir scritti in minuscolo, sono l’esatto opposto di qualsiasi valore cui noi ci si deve riconoscere.