Poco più di due anni fa le Guardie Cittadine di Milano intervenivano, su richiesta di alcuni immigrati, in aiuto di un gruppo di giovani che, nei pressi della stazione centrale di Milano, avevano catturato e messo al muro un altro migrante, avendolo riconosciuto come il loro aguzzino in Libia, mentre erano in attesa di essere trasportati via mare in Italia. Il giovane, poco più che ventenne, rispondeva al nome di Osman Matammud, ma per le sue vittime era Ismail, una sorta di via di mezzo tra un trafficante di uomini ed un kapò, figura di spicco del centro di segregazione ove i vari migranti, giunti da tutta l’Africa, venivano trattenuti in attesa che le famiglie pagassero le spese del viaggio in Italia e lì sottoposti a torture, violenze, mutilazioni e non di rado omicidio se il pagamento non sopraggiungeva nei tempi previsti o semplicemente se davano segni di insofferenza alle condizioni di vita del campo.
“…una pattuglia di stanza in via Sammartini era intervenuta in prossimità dell’omonimo centro di accoglienza perchè aveva notato un gruppo di persone discutere animatamente […] Facendosi aiutare per la traduzione da alcuni ausiliari del centro di accoglienza, avevano raccolto subito da parte di alcuni presenti gravi accuse nei confronti dell’odierno imputato, che chiamano tutti Ismail. I ragazzi infatti sollevavano le magliette mostrando delle cicatrici e le ragazze accusavano Ismail di violenze sessuali al loro danni” (dalla sentenza).
Gli agenti di Polizia Locale, vista la gravità di quanto affermato dai migranti, hanno immediatamente attivato l’unità specializzata nella tutela delle fasce deboli e dei minori.
I racconti dei ragazzi, verbalizzati dagli agenti operanti, danno abbastanza elementi per trattenere l’uomo in attesa di accertamenti. La perquisizione e l’ispezione di tutto ciò che aveva in tasca, cellulare compreso, dove sono state trovate delle foto raffiguranti corpi torturati, conferma che la persona fermata non è un migrante come gli altri. L’arresto viene convalidato e la D.ssa Boccassini, titolare del fascicolo, affida alla Polizia Locale la delega di indagine.
Le vittime vengono sottoposte a visita medica ed i referti provano il collegamento tra le cicatrici ancora presenti nei loro corpi e le torture raccontate agli investigatori. I racconti degli orrori passati nei campi danno un quadro di violenze generalizzate ed inumane fino ad allora solo sospettato e che, tassello dopo tassello, si presenta in tutta la sua orribile concretezza. “L’unico paragone che mi viene da fare per questi luoghi è quello con i campi di concentramento nazisti” dirà il Pubblico Ministero Tatangelo in sede di processo “in 40 anni non ho mai visto altri casi di orrore simile” gli farà eco la Dottoressa Boccassini.
La Polizia aveva inoltre analizzato il contenuto dei telefoni sequestrati all’imputato. Sul Techmade erano state rinvenute delle foto che ritraevano alcujne persone stipate su un fuoristrada nel deserto, alcuni profughi stiapti su un barcone (tra cui Ismail), un uomo con la schiena piena di cicatrici (dalla sentenza).
L’indagine si allarga, da Milano viene coinvolta la Polizia Locale di Palermo affinché cerchi, tra i numerosi migranti presenti sul territorio, altri testimoni. Ci vorranno mesi tra le comunità di Palermo, Trapani ed Agrigento, l’incontro con centinaia di persone tra difficoltà linguistiche, diffidenza e paura di ritorsioni, ma le Guardie Cittadine non demordono e convincono qualche vittima a parlare e farsi visitare. Le testimonianze e di nuovo i referti medici vengono inviati a Milano.

Dal capoluogo lombardo arriva lo stesso dott. Tatangelo, accompagnato dai poliziotti locali titolari dell’indagine. Ascoltano di nuovo i testimoni in Sicilia, decidendo di trasferirli a Milano e farli deporre al processo: le testimonianze, le foto, i referti medici, le altre prove raccolte confermano quanto già accertato nei primi riscontri e permettono la costruzione di un quadro accusatorio coerente e completo, rivelando l’esistenza di una organizzazione dedita non solo al traffico di esseri umani, ma anche al loro trattenimento coatto ed alla loro riduzione in schiavitù.
Ismail le aveva strappato i vestiti davanti a tutti e poi l’aveva trascinata nuda nella sua stanza […] e l’aveva violentata. […] gli aveva detto che lui abusava di lei senza motivo, solo perchè i soldi non erano arrivati. (dalla sentenza)
Gli elementi raccolti dagli investigatori hanno portato alla scoperta di un vero e proprio sistema di lager ove migliaia di persone vengono torturate, violentate ed uccise finché le famiglie non pagano 7mila dollari perchè siano portate in Europa. Ismail, alias Osman Matammud, è stato il primo trafficante di uomini condannato all’ergastolo in Europa, nonché il primo cui siano state riconosciute, oltre le responsabilità relative il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, le accuse di sequestro di persona, stupro, lesioni ed omicidio nei confronti di altri migranti durante la loro permanenza nei campi in Libia.

Un successo giuridico che si deve non solo al coraggio delle vittime, che hanno saputo riconoscere, fermare ed accusare il loro carnefice, ma anche alle indagini delle Guardie Cittadine, ed è proprio a chi di noi sente di “essere qualcosa in meno” o di “non essere un poliziotto, punto” che consigliamo la lettura della sentenza.
Al processo, ai lager libici ed alle indagini è dedicato il libro «L’attualità del male. La Libia dei lager è verità processuale», a cura di Maurizio Veglio, (Edizioni SEB27).