Quando mio figlio era piccolo e si andava in giro in luoghi aperti o con molte persone, ad esempio in occasione di una passeggiata con gelato finale in una via centrale sempre colma di gente, avevo timore che si staccasse dalla mia mano e che sfuggisse al mio sguardo; avevo timore che si smarrisse. Nel caso succedesse questo, gli avevo insegnato a non preoccuparsi, a guardarsi bene intorno e ad avvicinarsi con fiducia agli “uomini in blu”. Questo il nome che, assieme, avevamo dato per indicare i vari poliziotti, dal colore pur cangiante delle loro varie uniformi: poliziotti statali, locali ed anche i carabinieri. A riguardo di questi ultimi, dopo aver visto gli uni e gli altri, mio figlio, per più di una volta, mi aveva guardato un po’ perplesso, con sguardo interrogante ma silenzioso. Questo sino al giorno in cui mi ha detto: “papà, va bene, ti faccio contento, chiamo anche loro “uomini in blu”, ma guarda che ti sbagli, perché sono vestiti di nero”.

Avevo appena avuto la mia prima lezione riguardo al fatto che la semplificazione non è sempre il modo migliore di spiegare ai figli. Avevo preso una delle tante lezioni che, nella relazione tra padre e figli non c’è un insegnante ed uno scolaro, ma ci sono due persone che insegnano ed imparano entrambe. Ed entrambe crescono. Qualche volta, un po’ per gioco e un po’ per dimostrarmi che aveva imparato, all’avvicinarsi ad un poliziotto, locale o meno, ad un carabiniere, si staccava dalla mia mano e si dirigeva verso questi e con fare a metà tra l’incerto e lo sfrontato, gli si rivolgeva, dicendo, a volte urlando un decisissimo: “signore, signore, senta”. A tale deciso approccio che inevitabilmente richiamava l’attenzione dell’”uomo in blu” – anche quando era un “uomo in nero” – seguiva, con quella naturale recitazione che solo ai bambini riesce, il seguito della conversazione; che, più o meno, così proseguiva: “signor poliziotto, guardi, sono un bambino e non trovo più il mio papà. Ora le dico come mi chiamo e le mostro un appunto che ho con me e che indica via e numero di casa e anche il numero di telefono. Può aiutarmi ?”. Notavo quasi sempre un volto di un “uomo in blu” il cui sguardo da severo mutava in sorridente. Notavo il volto di un altro papà che, oltre a suo figlio, in quel momento aveva come figlio anche il mio.

La stampa riporta la notizia di una manifestazione e le immagini del fantoccio-poliziotto travolto da un furgone, dell’”uomo in blu” travolto da un cupo grigio che più che del furgone mi appare permeare l’animo dei suoi ideatori, persone –forse- con idee anarchiche. La cosa mi ha fatto tornare in mente questa storia. Non discuto della libertà di opinione di questo gruppo di persone. Libertà che amo, che c’è, deve esserci e deve rimanere piena. Libertà limitabile solo dal divieto di farne un cattivo uso, quale il commettere atti illeciti. Dall’episodio non vedo un simile uso perverso. Niente di illecito, niente di vietabile legittimamente, quindi. Vedo però un “messaggio” tanto pieno di cattivo gusto, tanto pieno di violenza, quanto svuotato di libertà. Accanto alla loro (ma anche mia) libertà di opinione, voglio usare la mia (e penso anche loro) libertà di critica. Critica su questa opinione, su questo contenuto, su questo messaggio: una comunicazione rabbiosa o propagandistica che è di disprezzo, se non di odio; che è banale, se non stupida; che privilegia lo show rispetto ai contenuti. Che, infine, prende per bersaglio uomini e donne che fanno un lavoro importante che va ricondotto sempre più e sempre meglio al lavoro di chi tutela la libertà ed i diritti dei cittadini, alla mia speranza ed al mio operare di Cittadino per una società migliore in cui vivere. Speranza e fiducia contro odio e vuota stupidità sensazionalistica. Speranza in una “umanità nova” contro chi la cultura libertaria frequenta con scarso profitto. Quanto fatto con mio figlio, l’ho ripetuto poi con mia figlia e con uguale sorriso e crescita di tutti: crescita della mia piccola, crescita mia, crescita del poliziotto che era il bersaglio delle domande (tante, tantissime, da far venire quei mal di testa però deliziosi e che danno un senso alla vita); una crescita che mi pare ben intrapresa e che ancora oggi continua in quella che era la mia bimba e che ora è una giovane donna che si sente padrona del mondo, ma che di tanto in tanto torna a cercare la mia mano, anche senza porgermi più la sua. Questi ragazzotti che hanno inscenato una teatrale efferatezza senza capirne sino in fondo la profonda disumanità e violenza … questi ragazzotti … chi indicheranno ai loro figli per farli rivolgere con serenità e sicurezza nel momento di uno smarrimento? Siamo sicuri che gli “uomini in blu”, i papà e le mamme “in blu” siano qualcosa verso cui indirizzare un messaggio così sub liminalmente odioso?
Queste le più che condivisibili parole di Giovanni Iannello Leone, un collega in Uniforme, un “Uomo in Blu”, nonché nuovo acquisto di A me le Guardie, alle quali aggiungiamo una alquanto cinica e per certi versi estrema riflessione: il contesto in cui è nata la vergognosa immagine dei due poliziotti investiti da un camion è quello della Cannabis Parade svoltasi a Torino il 30 aprile. Nulla da dire sull’eccentricità dei partecipanti: non è nella loro esasperata alternativita’ che vediamo un problema – anche se un po’ ci mancano gli hippie- Il problema è che se domani qualcuno decidesse di organizzare una “Dixie parade” con “alternativi” amici in cappuccio bianco e croci infuocate o, per par condicio, una P38 parade in divisa sovietica e passamontagna, siamo sicuro che si troverebbe la celere, la Digos e il NOCS davanti, sopra e ai lati (giustamente pure), mentre per la manifestazione in oggetto si è evidentemente fatto finta di non sapere che di droga ne è passata, molta, anche sotto gli occhi dei reparti impegnati in Ordine Pubblico sul posto.

Viene da chiedersi se le autorità competenti abbiano pensato, nell’autorizzare la manifestazione, all’imbarazzo che avrà un agente a comminare una sanzione per divieto di sosta, o ad intervenire su un produttore agricolo che vende arance lungo una provinciale, o su un commerciante abusivo, magari regolare in Italia, ma privo di permesso di vendita, che smercia cianfrusaglie tra i turisti, dopo che tutta Italia ha visto ignorare comportamenti giuridicamente ben più gravi e soprattutto gratuiti – chi vende lo fa per mangiare, con o senza licenza – da parte di centinaia di manifestanti.
Come sempre, le Istituzioni non fanno nulla per semplificare il lavoro delle Forze di Polizia, trattando determinati comportamenti come bravate, come compromessi cui scendere, ma continuando a perseguire condotte sicuramente a loro volta illecite, ma sulla cui lesività nutriamo estremi dubbi. A questo punto forse, se la scelta è tra una anarchia totale od una anarchia a convenienza, forse sarebbe meglio quella totale, almeno si sa cosa aspettarsi.