Quanto sia importante il 12 gennaio per la Polizia Locale penso si sia capito: non è solo la data della barbara uccisione di un collega, ma la sua morte è addirittura divenuta un simbolo dell’ingiustizia tutta italiana verso la categoria. Fa specie quindi vedere come proprio in occasione di tale ricorrenza la macchina del fango mediatica si sia rilanciata come un cane sull’osso contro gli agenti municipali, con una serie di articoli e servizi partiti da Roma e rovesciatisi a cascata su tutta la penisola (Bologna, venezia, ecc) puntando il dito su quei “fannulloni, furbetti, imboscati” dei “Vigili Urbani”: non è mancato qualche video di presunti maltrattamenti e risposte cafone a “cittadini indignati” che chiedevano contezza di violazioni a loro dire commesse dagli operatori, il tutto mentre la cronaca locale di tutto il paese continuava a dimostrare come la nostra attività sia sempre costante e di altissima qualità. Curioso che notizie come arresti e indagini per spaccio non escano dal giornale di campagna mentre un veicolo di servizio in divieto di sosta finisce su quotidiani nazionali.

Stanco di stalking mediatico e schifato dallo scarso rispetto per la memoria dei nostri caduti ho deciso che oggi non scriverò l’ennesimo articolo spiegando cosa siamo o facciamo ( ce n’è un centinaio di pezzi simili),ma rievocherò la festività romana dei Saturnalia – nella quale tra le altre cose gli antichi romani vedevano un “rovesciamento di classi” che portava gli schiavi a comportarsi da uomini liberi ed i padroni a servirli – proponendo ai giornalisti il piacere di leggere un articolo che tratti loro come spesso veniamo trattati noi, ricordando però che, trattandosi appunto di UNA rievocazione, qualsiasi cosa che io dovessi dire o scrivere non avrà mai un millesimo della risonanza mediatica e del potere distruttivo della dignità delle persone colpite da un loro qualsiasi pezzo.

Cominciamo quindi col dire che all’anniversario della morte o del rapimento di qualche giornalista potremmo iniziare un bel discorso su quanto sia giusto che civili impreparati, mai addestrati ad affrontare situazioni di guerra, se ne vadano spesso in zone ostili senza un vero programma se non quello di arraffare quante più notizie possibili, trovandosi in territori pericolosi e rischiando di venire rapiti e poi tocchi a noi pagare i riscatti o magari finendo che qualche funzionario di stato ci lasci le penne nel riportarli a casa. Piacerebbe vero questo discorso il giorno della ricorrenza della morte di qualche professionista del settore?
Aggiungiamo che, davvero, LORO fanno a ME la predica? L’Italia è al 77th posto per libertà di stampa in una classifica internazionale, il che vuol dire che gran parte del giornalismo è corrotto, colluso o semplicemente banale, puntato a raccogliere facili consensi e visualizzazioni mettendo alla gente davanti quel che vuole vedersi mettere senza alcun vero spirito divulgativo, usando si e no due parole – “bello” e “brutto” – perchè altrimenti il lettore si sente ignorante e cambia giornale, facendo perdere pubblicità ed incassi. La stampa italiana non è ignorante o incapace, è volontariamente mediocre, scadente e semplicistica, e questo è un motivo in più per disprezzarla: non sono al 77th posto per incapacità di fare il loro lavoro, ma perchè lo fanno consapevolmente in modo pessimo.

Parliamo di quella stampa che ha pensato bene di seguire in diretta la morte di un bambino caduto in un pozzo (Vermicino, 1981), che ha mostrato le foto dei corpi dei carabinieri uccisi dalla banda della Uno Bianca (Bologna, 1991), che ha pubblicato in prima pagina un feto morto in seguito l’omicidio della madre (Venezia, 2006), che ha montato un caso mediatico fasullo sulla pelle degli operatori di Polizia Locale di Roma Capitale (Roma, 2014), che ha pubblicato le foto di una detenuta in libertà vigilata col palese scopo di esporla al pubblico ludibrio (Venezia, 2015), che da decenni non fa altro che lobotomizzare l’opinione pubblica concentrandola su una manciata di fatti di cronaca nera immersi di opinionismi, approfondimenti, programmi ed opinionisti, quella stampa che ha trasformato le inchieste giornalistiche in fiere della provocazione e dell’offesa tramite programmi divulgativi di massa dove la fanno da padroni il qualunquismo ed il populismo spicciolo, l’azzeramento del contraddittorio e l’ossessiva ripetitività dei singoli concetti fino a farli diventare luoghi comuni.

Dobbiamo prendere lezioni da quelle stesse persone che come avvoltoi ci spingono nello scenario di un incidente mortale per scattare una foto alla salma a terra o all’espressione sconvolta di un familiare cui stiamo dando la notizia? Dobbiamo accettare rimbrotti da chi si accalca sulle nostre auto per fotografare un fermato che viene caricato a bordo, tentando in tutti i modi di fargli cadere il cappuccio così da fare un bel fermo immagine del viso? Viene a darmi lezioni di professionalità gente che ha costretto alcuni magistrati ad ordinare esplicitamente ai media di stare lontani dalle scene di alcuni delitti per non infastidire il lavoro degli investigatori? Mi parla di dignità la stessa categoria che ha messo alla gogna un giudice per la scelta dei calzini ed un altro per il colore della tinta ai capelli solo per compiacere il proprietario della testata? Proprio quelli che da anni creano audience sulle disgrazie e sui lutti della gente organizzando programmi ad hoc dove invitare vittime di abusi e delitti per stuzzicare i pruriti di un pubblico da loro ridotto ad una massa di omenincoli involuti?
Pensano davvero i giornalisti di essere qualcosa di meglio di quell’accozzaglia di opportunisti e ciarlatani descritti da Giorgio Gaber? Questi si pretendono di indirizzare l’opinione pubblica contro qualcuno? Loro? Quelli che hanno sostituito le 5 W del giornalismo con la sola P di “Populismo”? Salvo poi mettere alla berlina chi è altrettanto populista contro ciò che loro pretendono di difendere o salvaguardare.

Allora, è bello leggere certe cose? E’ bello sentirsi prendere a pesci in faccia in questo modo? Vi piacerebbe, signori giornalisti, che questo si ripetesse almeno tre volte a settimana, sottolineando ogni singola idiozia cento volte, generalizzando ogni comportamento più o meno professionale ed indirizzando l’opinione pubblica all’odio e al disprezzo per la vostra categoria? Non vi sentite offesi, incazzati, dequalificati dalla massa di luoghi comuni e sentenze inappellabili dei paragrafi precedenti, dalle parole di disprezzo e accuse gratuite? Spero proprio di si. Spero che capiate cosa voglia dire vedersi squadrare male dalla gente, sentirsi fare alle spalle le battutine perchè “i colleghi hanno fatto questo o quello” e allora anche voi sicuramente sarete imbranati o nullafacenti, anche se magari state tornando da rilievo di un mortale o siete appena usciti da una conferenza stampa dove un procuratore capo ha appena fatto i complimenti all’intera categoria per un’operazione di polizia.
Assaggiate per una volta la vostra cattiveria, la vostra sete di facili assensi, la vostra voglia di sbattere il mostro in prima pagina, ed immaginate cosa succederebbe se questo blog avesse il potere di veicolare le opinioni di milioni di persone su di voi, e se foste obbligati ad avere un marchio che vi faccia riconoscere come giornalisti – similmente alla divisa che contraddistingue noi- dopo che qualcuno si è permesso di martellare l’opinione pubblica su quanto siate poco professionali, furbi e meschini. Immaginate tutto questo, la prossima volta che vi viene in testa di denigrare un’intera categoria creando un caso sul nulla, il giorno in cui ricorre la morte di un uomo che ha dedicato la sua vita anche a servire e proteggere anche quelli come voi!
Un pensiero riguardo “I giornalisti ed il gioco delle parti”