Siamo arrivati al quinto anniversario dalla morte del collega Nicolò Savarino. Una morte violenta, una morte assurda. Una morte che ha colpito un uomo dello Stato, un uomo di legge, impegnato in servizio in bicicletta, come in un’epoca lontana, come nella mente bucolica ed utopica di qualche amministratore che ritiene che il “vigile in bicicletta” sia un’immagine di vicinanza, di fiducia, di serenità.
La morte di Nicolò non è stato un incidente, non è stato un errore: fu omicidio volontario. Un assassino, che poi riceverà dallo stesso Stato per cui un poliziotto ha perso la vita più sostegno di quanto ne avranno i famigliari della sua vittima, lo ha deliberatamente investito con un SUV durante un controllo. Un momento che fu una doccia fredda per una categoria già allora flagellata da pregiudizi, dicerie, leggende metropolitane ed odio di classe, già allora sfogo di tutti per vomitare su altri la colpa della propria mancanza di senso civico.
Savarino non è stato il primo, e nemmeno l’ultimo, poliziotto locale a perdere la vita in servizio,ma, quella volta, ci fu come un breve risveglio di coscienza, la gente capì, nel modo peggiore, che anche noi siamo in prima linea, che anche noi possiamo morire per mano dei criminali, che anche noi cadiamo nel tentativo di dare ad altri una vita più sicura: una lezione che a Milano tutti avrebbero dovuto capire anche 20 anni prima, quando una bomba straziò 3 vigili del fuoco, un agente di Polizia Locale ed un senzatetto in via Palestro.
Fu un risveglio breve, un fuoco di paglia che si spense con i funerali, che permise che l’assassino sia rimasto pressoché impunito e che non bastò a far comprendere alle istituzioni e al cittadino l’importanza del lavoro della Polizia Locale, ritornata nel buio della sua condizione di ibrido tra una forza dell’ordine e un ufficio comunale, ritornata sotto i riflettori e gli insulti di gente mediocre, che con la diffusione dei social ha gettato ogni maschera di umanità ed ogni remora di pietà per sputare su di essa ad ogni notizia, ad ogni commento, ad ogni post.
Ora io invito tutti questi Batman da tastiera, tutti i cittadini indignati, tutti i trasgressori frustati a ripetere quello che dicono su di noi davanti la foto di Nicolò. Li invito ad avere una volta nella vita un briciolo del coraggio da lui dimostrato nel mettere in gioco la sua vita, una vita che starà sempre sulla coscienza di tutti coloro per i quali la Polizia Locale è una forza di serie B; composta da uomini e donne che alla pari dei colleghi statali rischiano la vita per il nostro paese quotidianamente.
Ma invito a guardare negli occhi di Nicolò anche tutti quei colleghi per cui “siamo solo impiegati”, tutti quelli del “è compito della questura”, quelli del “non fate corsi di tecniche operative, è da esaltati”, del “cosa ti avvicini alle auto in quel modo sospettoso: siamo mica a prendere criminali”…chiedetevelo, colleghi e colleghe, se il sacrificio di uno di noi è servito almeno a migliorare noi stessi, la nostra preparazione, il nostro orgoglio di essere la Polizia Locale, o se anche per noi è morto invano.
Proprio ieri, alla vigilia di questa ricorrenza, il sindaco di Bologna Merola ha pubblicato sull’ANCI un breve commento sul suo incontro col Ministro Minniti a proposito di sicurezza urbana:
