Polizia di Stato · Polizia Locale · riflessioni

Se la politica indossa la divisa

La divisa, in Italia, è un nemico. Da fastidio, sa di reazionario, impedisce di poter fare quello che si vuole e si permette di punire per quelle scelte che, in modo più o meno evidente, vanno contro la legge. Divieti banali, ma anche abusi evidenti, piccoli panieri di uova rotti da questi fastidiosi soggetti che, nella pluralità dei corpi in cui prestano servizio, ugualmente danno fastidio a questo o quel cittadino, votante. La divisa è un nemico che va combattuto, il controllore è per il controllato un fastidio ed anche chi governa, o vuole essere eletto per governare, è un futuro controllato, quindi sulla divisa si gioca la campagna elettorale, ma sopratutto la condotta post elettorale di molti politici. La divisa è fascista e picchiatrice, pertanto merita un decreto ad hoc sulla tortura. La divisa opprime, fagocita, traumatizza, pertanto è necessario che tutti i sistemi che essa può usare per limitare i piccoli abusi quotidiani siano tarati, revisionati, approvati: un uso improprio, o uno strumento mal tarato o non revisionato non è semplicemente una prova inutilizzabile, ma un abuso di potere, un falso in atto pubblico, una violenza al vivere civile, e pertanto il pubblico ufficiale che dovesse far uso di tale oggetto deve venire indagato e costretto a provare che quella revisione o quella taratura mancate sono oggetto di un mero errore e non di una sua volontà vessatoria.

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Ma la divisa è anche il simbolo di quella sicurezza sulla quale si basano le campagne elettorali, il populismo, le dichiarazioni veementi, il patriottismo da salotto, ed ecco che essa diventa anche un emblema da indossare, portare in pubblico, elogiare: non più un feroce controllore fascista e picchiatore,ma un amico di cui fidarsi. Peccato che il denominatore comune ad entrambi questi aspetti di vedere la divisa sia il mancato rispetto per chi la porta dopo averla meritata tramite concorsi e formazione: chi denigrandolo, chi appropriandosi di quell’abito tanto difficile da ottenere, la politica ci mostra quotidianamente che per lei siamo solo numeri su numeri, risorse da sfruttare non per il bene del paese,ma per il proprio tornaconto elettorale, tanto che il continuo tira e molla su fondi diminuiti, comandi chiusi, equipaggiamenti scadenti sembra essere quasi un percorso volontario per poter continuare ad alimentare promesse elettorali future che correggeranno – a dire di chi le prinuncia – le attuali mancanze, fino a prospettare un quasi stato di polizia, come specificato a chiare lettere di recente dal leader della lega Salvini, indossando appunto una polo con i fregi ed i colori della Polizia di Stato.

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Di buona compagnia è stato comunque il Presidente del Consiglio, che ricordiamo aver indossato la mimetica quando impegnato in una visita alle nostre truppe in Libano: il colore della giacca- assolutamente sensato se si pensa alla necessità di far mescolare il Presidente in mezzo ai militari per non renderlo bersaglio di eventuali attentati – viene ridicolizzato da un’inutile patch con il nome, dal generico scudetto “forze armate”, dal ridicolo stemma della repubblica al posto normalmente occupato dai gradi. Ecco che una misura di sicurezza diventa un gioco, la divisa fasulla, la messa in ridicolo di quell’esercito cui nella stessa occasione venivano fatte promesse che stiamo ancora aspettando di veder non dico mantenute ma quantomeno previste in una bozza di legge. Di nuovo, la dimostrazione che per i vertici della Repubblica le Forze Armate sono pedine con cui giocare agli scacchi del consenso popolare.

Chiudiamo tornando al leader del carroccio che, in risposta allo sdegno dei sindacati della
Polizia di Stato al reiterare l’uso della polo della divisa non avendone alcun titolo, promette che presto indosserà i colori di altre forze per perorarnsalviniple la causa: in sostanza dicendo che si, continuerà a portare messaggi a favore – o forse veicolando per il tramite di questo favore i propri progetti – ma senza rispettare se il modo in cui lo fa risulta fastidioso, in sostanza, non rispettandoci, al di là delle belle parole di solidarietà che vengono sprecate ad ogni fatto. Una nota di colore: Salvini indossò anche una maglietta a favore della Polizia Locale in occasione dell’ennesima vertenza per armare i colleghi a Cinisello Balsamo, comune della cintura metropolitana di Milano, ponteficando a proposito di una riforma, di novità legislative, di un appoggio a non solo quella battaglia,ma
all’intera guerra della Polizia Locale. Ad oggi risulta che a Cinisello le armi siano arrivate, mentre banche dati, causa di servizio, equo indennizzo, contratto pubblico, certezza di qualifiche, equipaggiamenti e formazione restano  vuote parole nel calderone delle promesse pre e post elettorali.

Per l’ennesima volta ci troviamo a dover ribadire che non ci servono proclami, parole, promesse e particolari poteri, ma la certezza di poter – tutti- compiere il nostro lavoro senza che questi venga vanificato da una giurisprudenza ormai inadatta a fronteggiare la criminalità del nuovo millennio e da una politica che persevera nel delegittimare l’attività delle Forze di Polizia, salvo poi recuperarle e lodarle per quel breve periodo in cui diventano un facile campo da cui raccogliere voti.

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