Cronaca · riflessioni

Roma brucia. Di nuovo.

Roma brucia ed il suo corpo ha la forma di quello di una ragazza di 22 anni. Vittima di un assassino, certo, vittima di un uomo -non un destino, un uomo – che pesa come una spada di Damocle in tutti noi che ci diciamo civili, onesti e “normali”. Perché quest’uomo, questo efferato omicida, non è un delinquente abituale, non è un fanatico o un fondamentalista e tantomeno  un terrorista, non è uno straniero su cui tanto facilmente gettare le ire furibonde di facile demagogia,ma è uno di noi, un cittadino, uno che si alza e lavora, peggio, una guardia, un collega della vigilanza privata, uno di coloro che per nessun motivo dovrebbe diventare motivo di orrore, sgomento, paura ed orrore nella cittadinanza.

Roma brucia nel corpo di Sara di Pietrantonio e nell’indifferenza. Non solo in quella di quei – pochi – che, passando, non hanno fatto nulla, salvo poi giustificarsi con il magistrato di “aver avuto paura”, e magari sono gli stessi immediatamente pronti a fotografare una volante in divieto di sosta, a filmare un arresto, a inveire contro i barconi e a dichiarare che vogliono potersi difendere sparando dai ladri, ma nell’indifferenza di un sistema. Un sistema che, già da ora, pone i paletti, giudica, parla di “amore malato”, da voce all’assassino che per giustificarsi ha detto “usciva già con un altro”, come se una ragazza non avesse il diritto di uscire con chi e quando le pare senza chiedere il permesso a qualcuno, in questo caso all’ex, al quale, secondo lui -ma evidentemente anche per chi da spazio a certe assurdità- doveva invece dare l’ennesima possibilità, perchè, appunto, lui, “l’amava” dicono i giornali mistificando il concetto di amore in un distorto senso di possesso, di spersonalizzazione della donna, diventata per l’ennesima volta un oggetto, da possedere, da distruggere, nelle mani di un assassino verso il quale si trova sempre un appiglio di scusa, di giustificazione, di compassione -temo – perfino.

Roma brucia nell’interesse mediatico per questo assassino: sappiamo cosa faceva, cosa fa, ci è stato detto come l’ha uccisa, ci è stata fatta ascoltare o leggere la sua voce, in alcuni giornali si è addirittura citato il suo profilo facebook: Sara di Pietrantonio è bruciata nel corpo e nella memoria, perchè lo spazio è tutto per chi l’ha uccisa e per chi l’ha abbandonata, per quelle due auto che non si sono fermate, e, ancora, per l’assassino, di cui viene perfino descritto come, affiancato dall’avvocato, ha tentato fino all’ultimo di negare l’evidenza, ci viene mostrato mentre i colleghi della polizia di stato lo portano giù per le scale della questura, ci viene descritto come “ex fidanzato”, non come “assassino”. Per la vittima troviamo una manciata di parole e la solita sottolineatura “era una brava ragazza”, come se ci fosse bisogno di essere più o meno “brave” per meritare di venire bruciate vive da un delinquente che non trova altro che trincerarsi dietro la parola “amore”.

La morte violenta di una persona, sopratutto quando dipende da un atto criminale o un incidente stradale, è un fatto che dovrebbe fare male a qualunque guardia, o a chiunque indossi una divisa ritenendosi degno di farlo. E’ una nostra sconfitta perchè vuol dire che non si è fatto abbastanza per evitarlo. Quando succede è d’obbligo fermarci e capire cosa potremmo fare per impedire che si possa ripetere. Una buona partenza sarebbe iniziare a capire che una donna non è una proprietà, ma una persona, dotata di mente e corpo propri coi quali può fare quello che vuole e che nessun comportamento può giustificare una violenza. E’ un cambiamento culturale, non giuridico, è un cambiamento che dipende dalle scuole, dal sistema educativo, non dalle forze di polizia.

Ma in tutto questo ci siamo anche noi, noi guardie, che oggi, come troppo spesso, ne usciamo sconfitti, perchè un’altra persona è stata vittima di un crimine, un’altra vita è stata spezzata, e non abbiamo potuto fare nulla. Siamo impotenti. Aver catturato l’assassino non ridarà vita a Sara di Pietrantonio.

Ho deciso che non avrei messo immagini in questo articolo: straziante il viso della vittima, indegno di questa pagina quello dell’assassino,ma voglio chiudere invece con un link, dove si parla di un’operazione che secondo qualcuno forse non avrebbe dovuto nemmeno essere posta in essere, perchè noi siamo quelli delle multe, quelli delle scuole, quelli dei plateatici, non quelli delle indagini, quelle dei pedinamenti e delle denunce, ma forse, poco lontano dal fumo di Roma, Crevalcore non è bruciata perchè un uomo  ha deciso di andare oltre i pregiudizi sulla sua divisa ed ascoltare una persona che chiedeva aiuto, ed ha usato i mezzi che, al di là di qualsiasi idea comune o comoda scappatoia, la legge gli conferisce, salvandole forse la vita.

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