Una bambina piange disperata nella zona pedonale di una famosa città italiana. La gente non sa cosa fare, non capisce una parola di italiano, non sa cosa dire. Gli uomini in divisa grigia si fermano, si accucciano davanti a lei, le sussurrano poche parole e lei è già calma. Una chiamata alla centrale, a tutte le centrali, permette rapidamente di scoprire in quale albergo manca all’appello una bimba di sei anni. In pochi minuti la famiglia raggiunge la pattuglia e l’incubo finisce tra le braccia degli uomini in grigio.
Un signore vaga sperduto per le strade della periferia. Indossa abiti trascurati, puzza, non sa come si chiama né dove si trova, non si fida delle persone che lo avvicinano. L’uomo blu ferma l’auto a distanza e si avvicina, si qualifica, conquista la fiducia dell’uomo fino a farsi dare un documento e nel portafoglio vede diverse banconote di grosso taglio, ragione per cui solo alla vista della divisa la persona si è fidata. Documento in mano è facile risalire all’indirizzo per scoprire poi che non ha né parenti né amici, è noto ai servizi sociali, ma la domenica gli uffici son chiusi. L’uomo blu rimane con lui, lo riporta alla realtà con domande precise e sussurrando le risposte, fino a dar prendere all’uomo cognizione di sé. Lo riporta a casa, lo affida ad una vicina, il giorno dopo torna da lui con gli assistenti sociali.
Un pullman di ragazzini in gita scolastica ha un incidente. I ragazzi stanno bene, ma sono tanti, sono spaventati, hanno difficoltà a comunicare con le famiglie. Gli uomini con gli stivali comunicano ai genitori che stanno tutti bene, aspettano che tornino i pochi portati in ospedale per accertamenti, nel frattempo giocano, ridono e scherzano con gli alunni. Mobilitano un’autocolonna, li riportano a casa, tra lacrime e saluti, poi attraversano di nuovo la penisola per tornare in sezione.
Un anziano ha fame. La sua pensione non basta e ben prima della fine del mese rimane senza pane sulla tavola. Entra in un supermercato e tenta di rubare qualche genere di prima necessità, viene scoperto. Arrivano gli uomini dalle bande rosse. Lo identificano, lo ascoltano e lo capiscono. Pagano loro il conto. Oggi questo anziano mangerà e domani non dovrà vedere nessun giudice.
Due ragazze minorenni chiamano disperate il padre, sono in un bar vicino una stazione del nord Italia, in stage a 120 km da casa, due persone le molestano, le guardano, le insultano. Hanno paura ad uscire, temono le seguano e la loro unica sicurezza sono i pochi avventori della sera. Arriva l’auto con la riga bianca, gli uomini blu le raggiungono, i due molestatori si sono rifugiati in un’altra stanza al vedere i lampeggianti. Vengono raggiunti, portati fuori, identificati e lasciati andare. Le due ragazze riferiscono agli uomini blu cosa è successo, non vogliono fare denuncia, hanno ancora paura, vogliono solo andare a casa, non hanno soldi per il taxi e non ricordano nemmeno il numero della persona cui sono affidate per la durata dello stage. Gli uomini blu le fanno salire in auto e le riportano al B&B, riconoscendone il nome. Arriverà in forma di lettera il ringraziamento del padre, collega con giubba diversa.
Durante questi interventi, la gente che ci vedeva ci ha detto bravi, ci ha chiamati eroi, ci ha applaudito e ringraziato. Per quelle persone, in quei momenti, siamo stati gli amici, i figli, i genitori, i confessori, i confidenti. Qualcuno, in un caso, rimembrando un vecchio film di Frank Capra, ci ha chiamato
Appena finito tutto questo, però, siamo tornati i servi, gli acab, i maledetti, i corrotti, i rovina famiglie, i nemici, i vigliacchi di stato. Non siamo eroi, non siamo angeli, ma, sicuramente, non siamo nemmeno quello che ogni giorno devo leggere sui social network, devo sentire nei discorsi sussurrati alle mie spalle, devo capire dagli sguardi di disapprovazione lanciati dai passanti durante una qualsiasi attività di istituto, devo presumere da articoli e servizi faziosi di giornalisti indegni di tale nome che, magari con la scusa di denunciare il presunto abuso di qualcuno, sputano fango mediatico su tutti noi.
Siamo, semplicemente, le Guardie, indipendentemente se della Città o dello Stato, della Finanza o del Presidente, civili o militari. Siamo quelli che per mestiere fanno funzionare i mestieri degli altri. Quelli che tentano, nel loro piccolo, di garantire un sorriso ai cittadini, e che per farlo devono a volte colpirli, per prevenire che il loro egoismo diventi il lutto di qualcun’altro. Siamo vittima di aggressioni, siamo sottomessi ad un sistema legislativo discutibile, siamo spesso impossibilitati a voler fare tutto ciò che vorremmo per garantirvi di poter vivere senza preoccuparvi di ciò che altri possono farvi, siamo, per nostra scelta, i tutori della vostra libertà.
« Potete chiamarli Guardie di Palazzo, Guardie Cittadine o Guardie e basta. Qualunque nome abbiano, in ogni opera di genere fantasy-eroico il loro scopo è lo stesso: più o meno al capitolo 3 (o dopo 10 minuti di film) irrompono nella stanza, attaccano l’eroe uno alla volta e vengono massacrati.
Nessuno chiede mai se sono d’accordo.
Questo libro è dedicato a quei nobilissimi uomini. »
Terry Pratchett, A me e Guardie, introduzione.
Sono un inguaribile romantico idealista e non mi vergogno a dire che una lacrima ha solcabto il mio viso leggendo quello che hai scritto.
Non voglio rovinarmi il momento.
Guardo mia figlia. È piccola, le sussurro che ci sono gli angeli con la pistola.
Non devi avere paura del buio.
Si. Siamo la parte migliore di questa Italia.
Guardia Cavallari Gian Luca
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Ho interamente ripreso e rilanciato.
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