Ed eccoci qua. Come dopo la strage di Parigi, a ricordare i nostri caduti. Caduti silenziosi, caduti meno brutali di quelli visti al cinema o in televisione, dove l’eroe – sia esso un poliziotto, un cavaliere, un barbaro – cade in maniera plateale, dopo aver abbattuto decine di nemici, falciato da una raffica di mitra sparata da una decina di sicari, esplodendo assieme all’astronave del cattivo e via così.
I poliziotti veri invece tendono a morire di malattia ed incidente stradale. Consultando il sito cadutipolizia.it (dedicato agli agenti della Polizia di Stato) è terribile vedere come la mattanza siano, anche nel nostro caso, le strade. Ed alle strade si aggiungono le malattie contratte per causa di servizio, quella “causa” che alla Polizia Locale è negata (e con essa il risarcimento agli agenti e, nei peggiori dei casi, alle famiglie).
A “saltare per aria” o “venire sparati” o “abbattere decine di nemici” siamo davvero pochi. Come presumo che nell’antichità fosse più facile morire di malattia o di infezione piuttosto che baciati dal Sole contro i mori dividendo a metà cavallo e cavaliere con un singolo fendente alla Orlando.
Eccoli qui, gli ultimi caduti della guerra quotidiana per la legalità e la sicurezza: Nicolò Savarino fu investito mentre controllava un veicolo. Maria Ilardo mentre dirigeva il traffico nelle scuole. Michele Liguori si ammalò e morì a causa dei veleni che infestano la Terra dei Fuochi (l’incorruttibile vigile con la barba lo definirà poi un pentito) contro i quali combatteva da anni. Francesco Bruber è storia recente: il 15 maggio tentò, disarmato, di opporsi al “cecchino di Secondigliano” e di proteggere il collega Vincenzo CInque, che ancora lotta tra la vita e la morte.
DI fronte le loro morti le reazioni sono state tante, da chi si permise di offenderli (e di offenderci) anche da morti, con sarcastici “ma cosa credevano di fare”-“ma altri avrebbero fatto di meglio”, a chi li salutò con compianto ma anche con un retrogusto di “ma”…quel “ma” che ci impesta tutti noi della Locale, il “ma se fossero stati…” il “ma in fondo erano solo vigili”, fino a chi, in particolare nell’ultimo caso, va ad invocare “avrebbero dovuto sparare”-“altro che mani protese, fuoco e fuoco!” e addiritura “m-16 e fuoco pesante” sullo stile USA, dove però Obama ha intanto firmato una legge per privare le polizie di armi e mezzi da guerra.
Da noi non funziona così. La realtà non è un film d’azione. Le regole di ingaggio nel contesto sociale di un paese occidentale in pace non sono le stesse di un paese instabile o in guerra dell’area araba o caucasica o di un episodio di James Bond. Nello stabilire l’uso della forza, letale o meno che sia, l’operatore di polizia europeo (occidentale non è nemmeno giusto perchè gli USA fanno storia a parte) deve salvaguardare in primis la sicurezza dei civili, in secundis la sua, in terzis quella del sospetto. Nel garantire la sicurezza del civile, in particolare, vanno presi in considerazioni tutti i possibili rischi presumendoli all’eccesso.
Questo vuol dire che prima di rispondere al fuoco io devo valutare se i miei colpi potranno innescare dei danni collaterali (ferite a terzi, innesco esplosivo in caso di ambiente saturo di gas, ingaggio di altri avversari, danni a cosa e via dicendo) e nel caso la risposta sia affermativa devo evitare o ritardare la risposta fino alla messa in sicurezza della zona – allontanamento dei civili, certezza non vi possano essere gas infiammabili o altri elementi esplosivi quali benzina o simili, sicurezza di non avere ostaggi in area di fuoco (per area di fuoco non intendo la mera traiettoria del proiettile ma anche le zone interessate da una sua eventuale deviazione dovuta a rimbalzi)- e solo allora si potrà valutare di aprire il fuoco, possibilmente di copertura e con l’obiettivo di “bloccare” il sospetto impedendogli di reagire a sua volta piuttosto che di abbatterlo.
L’uso della forza letale all’interno di una città ha troppe varianti e troppi pericoli per accettarlo come un’opzione valida se non in casi oltre che estremi, per questi motivi mi trovo ad insistere sulla dotazione di spray e distanziatori (o mazzette o come volete chiamarli).
Così, mentre in film e fumetti i supereroi continuano a sbaragliare cattivi-comparse, a volare, a lanciare raggi dalle mani, ad emulare divinità norrene e non, i poveri poliziotti veri devono pure subirsi lo scherno dei cittadini che si mettono a paragonarli a personaggi inesistenti inventati da autori che, sicuramente dotati di ottima inventiva e grandi capacità narrative, poco o nulla sanno delle grane legali cui i loro protagonisti andrebbero incontro in un mondo reale e di conseguenza presentano uno spaccato falso della vita e delle condizioni operative, o di rischio, del nostro lavoro.
Inoltre, è noto che i supereroi non muoiono. Vengono colpiti,ma non soffrono. E quando i nemici hanno i lanciamissili, hanno i raggi nelle mani.
Nella realtà, alcuni eroi non hanno nemmeno la pistola, e avanzano con le mani protese verso un pazzo che spara sui passanti, provando a convincerlo a parole. Poi, alcuni eroi, semplicemente, muoiono. Muoiono in azioni semplici, senza declamare frasi epiche o decimare orchi,ma in cose “non filmiche” come controllare un documento, dirigere il traffico, indagare su reati ambientali. A volte, vanno oltre i super poteri e avanzano con le mani protese verso un pazzo che spara sui passanti, provando a convincerlo a parole a smettere con la sua follia stragista.
sono un eroe, perché lotto tutte le ore. Sono un eroe perché combatto per la pensione
Sono un eroe perché proteggo i miei cari dalle mani dei sicari dei cravattari
Sono un eroe perché sopravvivo al mestiere. Sono un eroe straordinario tutte le sere
Sono un eroe e te lo faccio vedere. Ti mostrerò cosa so fare col mio super potere
L’eroe, Caparezza
Un pensiero riguardo “Non esistono i supereroi”